Antonio Armano per il “Fatto quotidiano” - Estratti
(...) Bisogna ammettere che a volte nella liturgia del dissing – lo “scazzo” tra musicisti rap – c’è un impegno lirico che supera quello degli insulti tra scrittori.
La storia, anche recente, è ricca di una casistica che non risparmia nessuno, e non teme cadute di stile abissali. Nel 2022 Striscia la notizia ha riesumato una vecchia sparata di Nicola Lagioia, allora direttore del Salone del libro, contro Melissa P., al tempo del successo di Cento colpi di spazzola: “Con lei c’è una sola cosa da fare. La prendi. La metti a novanta appoggiata a un tavolo.
Poi prendi Lolita di Nabokov.
Strappi le pagine. Gliele infili una per una nel culo. Dopo un po’, per osmosi, qualcosa assimila per forza”. Un consiglio di lettura, una Holden class in supposta: proprio qualche giorno fa, per i trent’anni della scuola, Alessandro Baricco si è prodotto in una lectio sul Gorgo di Fenoglio, lodando il finale in modo singolare: mi commuove “persino se lo legge Antonio Scurati”. Che non sarà adatto a leggere Palazzeschi alla Paolo Poli, ma non è certo privo di forza drammatica.
Tirato in ballo come principio attivo rettale, Vladimir Nabokov aveva (ipse dixit) una “proverbiale mancanza di peli sulla lingua”. Noti i suoi giudizi sull’autore di Delitto e castigo (“atroce litania”): “La mancanza di gusto di Fëdor Dostoevskij, il suo monotono trattare di personaggi sofferenti di complessi pre-freudiani, il suo modo di sguazzare nelle tragiche sventure dell’umana dignità – tutto ciò è difficile da ammirare”. Il suo sarcasmo colpisce anche altri: “Non riesco a sopportare lo stile negozio di souvenir di Joseph Conrad, le navi in bottiglia e le collane di cliché romanticizzati”.
Ma parla della stessa persona che ha scritto Cuore di tenebra? Lo vendica Èduard Limonov nello splendido Diario di un fallito . “Non sarò mai un secondo Nabokov, non andrò mai a caccia di farfalle per i prati, correndo con le gambe senilmente nude, pelose e anglofone... Se Lev Tolstoj fosse ancora vivo, gli avrei dato una bastonata in testa, per il suo moralismo ipocrita, per non aver descritto nelle sue grandiose opere la cospicua quantità di ragazze dei villaggi di sua proprietà, da lui scopate”.
Piuttosto incline all’odio professionale un altro russo, il premio Nobel Ivan Bunin, specie dopo la Rivoluzione. I cantori del nuovo ordine, da Maksim Gorkij a Michail A. Šolochov, erano “servi del cannibalismo”. In particolare detestava Vladimir Majakovskij, descritto come troglodita, incline al rutto più che al verso libero, in Giorni maledetti.
Nella lunga lista di sinonimi di testicoli di cui dispone l’italiano, bisogna aggiungerne uno: “Non rompetemi i tommasei”, diceva Giacomo Leopardi, che aveva con Niccolò Tommaseo un rapporto conflittuale tanto da dedicargli un epigramma antisemita con rima in “giudeo”. Carlo Dossi, in una delle sue Note azzurre a lungo censurate, spiffera invece che Tommaseo al bordello si portava una candela che amava infilarsi nello stesso posto consigliato a Melissa P. con Lolita.
Il claustrofobico mondo delle italiche lettere si è sempre dibattuto tra esigenza di quieto vivere per motivi di spazi asfittici e furori e rancori, a volte lasciati sfogare a fiamma libera. In una memorabile puntata di Mixer cultura del 1986, Dario Bellezza dà della “puttana” ad Aldo Busi. Ma almeno allora si litigava per i libri.
Più creativo, l’immaginifico Gabriele D’Annunzio definisce Filippo Tommaso Marinetti “cretino fosforescente”. L’acida poetessa Maria Luisa Spaziani ha descritto la “concorrente”, Drusilla Tanzi, moglie di Montale, come “un attaccapanni con gli occhiali”, per le spesse lenti da ipovedente. Body shaming, si direbbe oggi. E del resto Eugenio Montale la chiamava “la Mosca”. Se la stronzaggine è senza tempo, il politicamente corretto non esisteva e pure il sobrio Italo Calvino ironizzava chiedendosi se la moglie del Gran Khan fosse “la Gran Cagna”.
Grevi insulti d’autore, elaborati nel rancore come il riflusso, erano motivati da presunte offese.
Giovanni Testori, dopo il rifiuto a un provino del suo amante storico Alain Toubas, se la prese con Luchino Visconti: “Ma chi non ha visto Luchino girar di notte per Roma sulla macchina di qualche amico; girare, dicevo, nei momenti più sguaiati, quando con la sua voce nebbiosa e roca urla, getta e vomita oscenità per le strade, non saprà mai cosa ci sia di oscuramente inaccettabile e di oscuramente inaccettato nel suo blasone di conte; qualcosa di fangoso, qualcosa di ruttante e di maialesco si sprigiona allora in lui”.
Gratuito invece il bullismo di Alda Merini nei confronti di un poeta soprannominato Campanotto, il nome del suo editore: “Ho saputo della morte di suo padre. Complimenti”. Ed “Era ora” disse Piero Chiara alla notizia del suicidio di Guido Morselli. Sciacalli ormai sepolti. Ma il più selvaggio di tutti è Mark Twain, che diceva di Jane Austen: “Tutte le volte che leggo Orgoglio e pregiudizio mi viene voglia di disseppellirla e colpirla sul cranio con la sua stessa tibia”. Chissà perché, si chiedeva Claudio Magris, gli scrittori non confessano mai nei loro libri di avere fatto delle carognate. Fuori dai libri, quando perdono le staffe, non si fanno problemi a mostrarsi per quello che sono. Esseri umani come tutti gli altri.
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