1 - IL FILOSOFO CACCIARI: “QUESTA E’ L’EPOCA DELLA GRANDI COALIZIONI”
Francesca Schianchi per “la Stampa”
Il voto spagnolo conferma la crisi storica delle formazioni politiche tradizionali europee, presente in tutti i Paesi», riflette il filosofo Massimo Cacciari, a un’ora dalla chiusura dei seggi, quando i primi exit poll provenienti dalla Spagna parlano del Partito popolare che viaggia verso la vittoria, ma senza avere la maggioranza, e di un Psoe che lotta con Podemos per il secondo posto.
La considera una prova della crisi dei partiti tradizionali anche se i Popolari vincono come primo partito?
«Ma hanno perso quattro milioni di voti in due elezioni: se questo è vincere… Questo voto denota ancora una volta una crisi strategica delle culture politiche europee tradizionali. Ora non gli resterà che fare un governo di coalizione: quello che, di fatto, è successo anche in Francia».
Si riferisce al patto di desistenza tra socialisti e repubblicani per bloccare, al secondo turno delle Regionali, il Front national di Marine Le Pen?
«Certo: e che cos’è quello se non una forma di coalizione?».
Come giudica il risultato di Podemos?
«Quando si arriva ad elezioni così complicate, in periodi di crisi, gli indecisi quasi sempre alla fine scelgono un voto rassicurante. Podemos forse non ha avuto il risultato che potrebbe avere, se si andasse a votare oggi, il Movimento cinque stelle in Italia. Ma il trend è quello della crisi dei partiti tradizionali, presente in tutta Europa, che sono costrette a puntare su grandi coalizioni. Una crisi che in Italia è stata coperta dalla novità Renzi, così come in Germania la Merkel, unica leader europea, salva i cristiano democratici tedeschi. Ma è una crisi che c’è, esiste».
Cosa intende quando dice che Renzi ha coperto questa crisi?
«In Italia questa crisi sarebbe stata anche più rovinosa che negli altri Paesi, ma il vuoto è stato coperto dalla sua novità. Il successo di Podemos, M5S e Le Pen è l’altro aspetto della crisi della politica europea E, di fatto, il Pd è una grande coalizione tra resti socialdemocratici e resti democristiani. Anzi mi pare che Renzi punti proprio a esplicitare questo concetto: quando parla del Partito della nazione, è come se dicesse “la faccio io, nel mio partito, la grande coalizione”».
Come potrebbero risollevarsi queste forze tradizionali?
«Ormai tutti i buoi sono scappati dalla stalla! Questo è un discorso che si poteva fare 15- 20 anni fa, alcuni l’hanno anche fatto in termini tecnicoscientifici, ma ora non ha più senso farlo dall’interno. E infatti emergono Podemos, la Le Pen in Francia, il M5S: forze che non appartengono a quelle culture politiche che hanno costruito lo straccio di unità politica europea che abbiamo oggi»
2 - QUELL’ONDA CHE SPAZZA L’EUROPA COSÌ TRIONFA NELLE URNE IL VOTO “CONTRO”
Andrea Bonanni per “la Repubblica”
È il trionfo del voto contro. Più di metà degli spagnoli di sinistra ha votato contro il Psoe scegliendo Podemos. Più di un terzo degli spagnoli moderati ha votato contro il Ppe premiando Ciudadanos.
La Spagna non si è spostata a destra. Non si è neppure significativamente spostata a sinistra. Si è trasferita su un’orbita di malcontento popolare che non riesce a esprimere altro che se stesso. L’Europa guarda con preoccupazione al risultato che esce dalle urne iberiche. Non solo e non tanto perché sembra condannare la quarta potenza del Continente all’ingovernabilità. Ma perché segna un’ennesima sconfitta della politica.
albert rivera leader ciudadanos
E il fallimento della politica mette in discussione la democrazia come sistema in grado di far convergere consenso e potere. Rende difficile leggere quale sia la volontà dei cittadini alla luce delle categorie consolidate del pensiero sociale. Sposta la ricerca del consenso lungo sentieri che esulano dal merito delle questioni su cui occorre decidere. Già la Grecia, esattamente un anno fa, aveva segnato un trionfo del voto contro.
La vittoria di un partito di sinistra non tradizionale come Syriza aveva portato alla formazione di una coalizione con la destra nazionalista. Poi alla rottura con l’Europa sancita da un referendum popolare. Infine ad una governance improntata alla tardiva accettazione di politiche e di valori apertamente in contraddizione con i programmi elettorali dei vincitori. Dove sta la democrazia in tutto questo?
A seguire ci sono state le due fiammate di segno opposto venute dalla Polonia e dalla Francia. A Varsavia una leadership moderata ed europea, che aveva governato bene e aveva garantito al Paese brillanti risultati economici, è stata spodestata per mettere al potere un partito catto-fascista che aveva già dato prove di governo fallimentari e che sta sovvertendo le istituzioni di garanzia democratica, come in Ungheria.
In Francia l’anti-politica della Le Pen ha portato il Front National a divenire il primo partito, costringendo socialisti e conservatori ad una innaturale alleanza per fermarla al ballottaggio. Il risultato è che una forza politica arrivata prima in quasi tutte le regioni francesi non ne governa neppure una. Possiamo rallegrarcene. Tirare un sospiro di sollievo. Ma, anche qui, dove sta la democrazia?
Se nei cittadini europei cresce la tendenza a votare contro il partito che storicamente rappresenta la loro parte politica, senza tuttavia cambiare sostanzialmente opinione, le categorie della politica diventano illeggibili e la democrazia per conseguenza diventa ingovernabile. Certo, questo fenomeno mette chiaramente in evidenza l’inadeguatezza di intere classi dirigenti, che infatti rischiano di essere spazzate via dalle urne. Ma se il fenomeno è generalizzato a tutta l’Europa, il sospetto che il problema non possa essere ricondotto alle carenze di questa o quella leadership diventa più che legittimo.
Qualcuno, a Bruxelles, avanza l’ipotesi che questa epidemia dell’antipolitica, intesa come rifiuto dei partiti che tradizionalmente veicolano le idee di destra o di sinistra, progressiste o conservatrici, laiche o confessionali, sia in realtà un portato dell’irrilevanza che ormai contraddistingue la politica a livello nazionale. Giuste o sbagliate che siano, le grandi scelte di fondo che condizionano la nostra società e i nostri destini collettivi e personali ormai si fanno a livello europeo.
La parabola della Grecia ne è la dimostrazione evidente. Se gli elettori non hanno la sensazione di poter determinare con il loro voto le sorti del proprio Paese, finiscono per utilizzare la scheda per esprimere la frustrazione verso una classe politica che finge di dirigere ma che ormai non dirige più nulla.
IL PARTITO SOCIALISTA SPAGNOLO
Oppure rivolgono la loro rabbia verso l’Europa. Questa lettura coglie probabilmente alcuni aspetti di verità. Ma, quale che sia la spiegazione del fenomeno, il terremoto politico che sta scuotendo i governi nazionali della Ue rischia di essere un sisma sistemico. E le mura che cominciano a tremare sotto le sue scosse non sono solo quelle della destra o della sinistra tradizionali. È l’edificio stesso della nostra democrazia che comincia ad essere in pericolo.