ALLEGRI, LE DUE ATALANTA E LA LEGGE DI LIEDHOLM
Caro Aldo, alla luce di quanto si è visto sul campo nella finale di Europa League sono sicuro che anche lei si sarà chiesto: un’Atalanta così come ha fatto a perdere la finale di Coppa Italia con la Juve?
Forse i bergamaschi hanno un cuore grande grande. Severo Ferrari
Risposta di Aldo Cazzullo - Corriere della Sera
Caro Severo, l’Atalanta ha compiuto una grande impresa, riportando in Italia una Coppa europea importante che mancava dai tempi dell’Inter di Mourinho (2010). L’impresa ha un valore doppio perché compiuta da una squadra di provincia, sia pure supportata da un territorio ricco di risorse e di passione.
Sia la finale di Europa League, sia quella della Coppa Italia sono state seguite da milioni di persone, molte delle quali sono rimaste stupite dal diverso esito: la Juventus, una squadra reduce da un girone di ritorno disastroso, ha battuto l’Atalanta più nettamente di quanto dica il punteggio (c’era un rigore netto su Vlahovic); mentre l’Atalanta ha travolto 3-0 i campioni di Germania, imbattuti per tutto l’anno.
Qualcuno ha scritto che l’Atalanta si è scansata con la Juve e ha dato l’anima in Europa. Ovviamente, non è così. Il Bayer Leverkusen ha un gioco improntato sul controllo della partita: infatti ha tenuto palla per il 70% del tempo. Ma tenere palla non vuol dire essere i più forti; ed essere i più forti non implica vincere. Pep Guardiola, uno che la pensa come l’allenatore del Leverkusen Xabi Alonso, dice che giocare contro l’Atalanta è come andare dal dentista: una cosa sommamente spiacevole, perché l’Atalanta contro una squadra che dà punti di riferimento è tremenda. Ma contro una squadra «d’acqua» come quelle di Allegri, che lasciano volentieri fare la partita agli avversari, l’Atalanta può smarrirsi, com’è accaduto all’Olimpico.
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Ora alla Juve arriva Thiago Motta, uno che la pensa come Guardiola e Alonso. Magari farà benissimo. Però Nils Liedholm, il più grande allenatore degli anni 70 e 80, una volta mi disse che le squadre hanno un loro Dna, una mentalità, una cultura. L’Inter ad esempio, da Herrera a Mourinho passando per Trapattoni, è quasi sempre stata una squadra all’italiana, difesa e contropiede; mentre il Milan, da Rivera agli olandesi, era più portato a fare gioco.
Quando la Roma di Liedholm (e poi quella di Eriksson) veniva a giocare a Torino con la Juve, dominava la partita; Di Bartolomei saliva a centrocampo, Bruno Conti rientrava, in mezzo Falcao, Ancelotti, Prohaska e poi Toninho Cerezo avevano sempre la palla loro. Poi Platini lanciava Boniek in contropiede, e segnava la Juve. Che era più forte della Roma, ma spesso la subiva, perché questa era la mentalità della squadra di Trapattoni, come di quella di Parola e dello stesso Allegri: costruiamo intanto una barriera difensiva; il gol prima o poi arriva.
Maifredi e Sarri (che pure vinse lo scudetto) non hanno funzionato. Preghiamo che Thiago Motta non faccia la stessa fine.
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