Ernesto Menicucci per "il Messaggero" - Estratti
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Piccola premessa, che vale come nota metodologica: per la gen Z (figuriamoci per gli Alfa), il seguente articolo è ad alto tasso di boomerismo. Ma, detto questo, ora che gli Europei tra i meno belli della storia, si può dire? volgono al termine, una riflessione andrebbe fatta: c'era volta il calcio di una volta.
Nostalgia dei tempi andati? Di quanto si stava meglio quando si stava peggio? Di quando eravamo felici e non lo sapevano, e via così di luogo comune in luogo comune, molti presi dalle bacheche Fb (il social più boomer che c'è)?
Sì certo, in parte.
Ma c'è da dire che, sempre di più, queste nazionali di calcio giocano un po' tutte alla stessa maniera. Persino Spagna e Inghilterra, le due finaliste, che un tempo rappresentavano mondi lontanissimi.
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È la nuova religione del calcio, che ha catechizzato tutti. La costruzione dal basso, i terzini che iniziano a giocare la palla nell'area piccola, la calcettizzazione che fa sì che le partite, da un certo punto di vista, sembrino tutte uguali: un tiki-taka continuo, alla ricerca "dell'imbucata" giusta, dell'errore dell'avversario (tecnico o di posizionamento), qualche volta sempre meno del guizzo personale. Si dirà: è il calcio bellezza.
Ma il risultato è che, se si scambiano le maglie, si fa fatica a distinguere la Francia dall'Olanda, la Germania dalla Svizzera, la Turchia dall'Inghilterra.
Conta, certo, chi lo fa meglio questo asfissiante, a volte inutile, spesso dannoso possesso palla (quanti gol nascono da errori nell'imprescindibile "costruzione dal basso", affidata poi ai difensori, quelli che persino al campetto sotto casa di solito erano quelli più scarsi tecnicamente?).
La Spagna, grazie al talento di Rodri e Pedri, alla velocità dei suoi ragazzi terribili Williams e Yamal, è quella che lo fa meglio. L'Italia, con l'improbabile Fagioli schierato centrale, i giocatori mal posizionati e per nulla determinati, è stata tra le peggiori. Ma quello è lo spartito, per tutti. La ricerca chirurgica del particolare, del tempo di gioco, dell'attimo fuggente che crea una situazione di superiorità.
Tutte simili, tutte uguali. Figlie anche del melting pot dei tecnici, dove gli italiani la fanno la padroni: Montella con la Turchia, Tedesco col Belgio, Calzona con la Slovacchia, Rossi con l'Ungheria, ma ci sono anche il tedesco Rangnick che allena l'Austria, il francese Sagnol con la Georgia, lo spagnolo Martinez con il Portogallo. Nemo propheta in patria, dicevano i latini. Bah.
Una volta ai nostri tempi, direbbero i boomer non era così. Nel calcio c'erano delle certezze quasi granitiche. Ogni nazionale aveva una sua identità ben precisa, che in parte rispecchiava anche quella del paese e della società. La Germania era quella dei "panzer", alti, forti, robusti. Calciatori d'acciaio, come le auto tedesche: non bellissimi da vedere magari, ma tremendamente duri da abbattere.
Pensate, chi se li ricorda, a Rummenigge (centravanti dell'Inter anni 80), agli altri interisti Matthaus, Brehme, Klinsmann, per non andare a Schnellinger o Beckenbauer. L'Olanda era quella del calcio totale, bohemien, dei ritiri aperti alle mogli e fidanzate (un tabù, negli anni 70) come era aperta la società olandese, dove Cruijff e Neeskens prima, e Gullit e van Basten poi, erano gli alfieri dell'olandesismo volante, una nuvola arancione.
L'Inghilterra era quella dei lanci lunghi e pedalare, dell'intensità di gioco, del tackle affondato senza pietà, della classe unita alla ruvidezza della sua working class, alla Gascoigne, alla Rooney. E via andare così. L'anima da giocolieri del Brasile di Falcao, Zico, Cerezo (quello dell'82, tra i più forti della storia), ma anche quello di Ronaldo (il Fenomeno, l'unico), Ronaldinho, Rivaldo, Cafu, Kakà campione nel 2002, il misto tra grinta alla Passarella e classe sopraffina alla Maradona dell'Argentina che univa i tratti caratteristici dei sudamericani e degli italiani emigrati.
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Già, è l'Italia? Anche noi avevamo il nostro marchio di fabbrica. Portiere dominante (chiedere allo Zoff della parata sulla riga al novantesimo di Italia-Brasile 3-2 o al Buffon di Germania 2006), difensori insuperabili (Gentile su Zico, un must; ma anche il «Cannavaro, Cannavaro» di Caressa 18 anni fa), contropiede letale (da vedere e rivedere: il gol di Del Piero che ci porta a Berlino, partito da Cannavaro, proseguito con Totti e rifinito da Gilardino).
ITALIA SVIZZERA - SPALLETTI PRESO IN GIRO DA UN GIORNALISTA ELVETICO
A parte il portiere, lo strepitoso Donnarumma, è un'Italia che non c'è più, come quel calcio di una volta. Ma dirlo, certo, è da boomer. E allora, buona finale.
ITALIA SVIZZERA - SPALLETTI PRESO IN GIRO DA UN GIORNALISTA ELVETICO