Carlos Passerini per il Corriere della Sera
Karamoko cammina che sembra un uomo e, rispetto al Nino di De Gregori, ha un anno in più, tredici, e zero paura di calciare i rigori. Dice Erik Sviatchenko, suo compagno al Celtic: «Ha qualcosa di speciale, pure se mi arriva alle anche». È successo 15 giorni fa a Cappielow, vicino Glasgow, all' 81' del match tra l' Under 20 del Celtic e i pari età dell' Hearts of Midlothian: l' allenatore Tommy McIntyre si gira verso di lui, seduto in panchina, e gli dice: «Vai Kara, tocca a te».
Poche ore dopo tocca a Mustafa Kapi, anni 14, detto (purtroppo) il Pogba di Turchia, che esordisce con la prima squadra del Galatasaray. La prima squadra, esatto. Amichevole, si gioca a Sofia, contro il Levski: avanti di due gol, l' allenatore Riekerink lo butta dentro a tre minuti dalla fine, al posto di Sinan Gumus. Un bambino in mezzo agli uomini: Podolski, Altintop, gente così. Fa effetto, già. E fa riflettere. Parecchio.
Non è una novità assoluta, vero, ma la combinazione di due vicende così ravvicinate nel tempo riporta d' attualità un quesito sottovalutato: ma è giusto? «Secondo me per niente - risponde senza prenderla larga Filippo Galli, responsabile tecnico del settore giovanile del Milan -. Sotto i quindici anni mi sembra un azzardo inutile. Non è la nostra filosofia, i rischi sono seri.
Ad ogni modo mi auguro che i club abbiano subito messo a disposizione dei ragazzi e soprattutto delle loro famiglie un adeguato supporto psicologico». Appunto. Spiega Giuseppe Vercelli, psicologo dello Sport: «Una scelta terribile, punto e basta. Un ragazzino di quell' età non sa discernere il gioco dal non gioco. Il problema è che, una volta bruciate le tappe, tornare indietro non è più possibile. Per preservare un talento è necessario andare sempre per gradi».
Il rischio di farsi male c' è.
Non tanto dal punto di vista fisico quanto da quello mentale.
Anche perché le statistiche sono lì da vedere, anche quando si tratta di ragazzi più grandi.
Una su tutte: secondo una ricerca Opta, dei 37 Under 21 che hanno debuttato in serie A nella stagione 2014/15, solo 11, cioè ben meno di un terzo, oggi giocano ancora in quella categoria. Qualcuno, tipo il centrocampista svedese Joakim Olausson, che aveva infilato la sua prima in A nel maggio del 2014 con l' Atalanta meritandosi l' appellativo di «nuovo Stromberg», oggi è svincolato.
Non lo vuole più nessuno. A 21 anni, quando gli altri di solito cominciano. Assurdo.
Per quanto ogni adolescente abbia una sua maturità diversa, specifica, e non solo nel calcio, la linea di demarcazione sembra essere quella dei quindici anni. Ne hanno sedici ad esempio i Millennials, vale a dire i nati dopo il 2000. Per ora nei primi cinque tornei europei in campo in una partita ufficiale se n' è visto solo uno: si chiama Vincent Thill, lussemburghese, attaccante del Metz, e il 21 settembre ha esordito in Ligue 1 contro il Bordeaux.
Prima o poi toccherà a Moises Bioty Kean, 16 anni pure lui, ieri in panchina a Lione con la Juve. Per molti è il nuovo Balotelli (il quale, a proposito, esordì in C a Lumezzane nel 2006 a 15 anni, 7 mesi e 21 giorni) e non solo perché ha lo stesso agente, Mino Raiola.
«Purtroppo dipende sempre dalla testa - è convinto Roberto Clerici, scopritore di Pirlo -. Andrea ad esempio esordì col Brescia a 16 anni e 2 giorni, ma era già un adulto».
E soprattutto, un campione.
Vincenzino Sarno, l' ex bambino prodigio che nel 1999 fu acquistato a 11 anni dal Torino per 120 milioni di lire, oggi al Foggia in LegaPro dopo una carriera mediocre, un giorno ha detto: «Il calcio mi tolse la serenità». Per sua fortuna, solo quella.