Antonello Piroso per la Verità
«Claudio Lotito? Si sente «il "signore" del calcio italiano e quindi pensa che tutto gli sia concesso. Non può essere così. Ad ogni azione, anche la più spregiudicata, ci deve essere un limite». Di più.
Si ripropone il tema «del suo conflitto d'interessi» in tema di retrocessioni nel campionato di serie A - dove la sua Lazio si gioca lo scudetto con la Juventus - dato «il suo ruolo proprietario della Salernitana, squadra di serie B in corsa per la promozione» (tradotto: Lotito si oppone al blocco delle retrocessioni in caso di nuovo stop alle partite, per il suo personale tornaconto diretto in materia).
Un uno-due di tutto rispetto, quello portato domenica al (doppio) mento del patron biancazzurro dalle colonne di Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport. Ma quello che ora qui interessa non è ergersi a difensori d'ufficio di Lotito, quanto la disamina del pregnante tema rilanciato dai due giornali citati: il conflitto d'interessi.
Piccolo problema di coerenza: chi è l'editore dei due quotidiani? Urbano Cairo. Che, incidentalmente, è anche il proprietario del Torino. Che, incidentalmente, è in corsa per non retrocedere in serie B.
Ergo: le due testate finiscono per generare l'impressione di attaccare l'asino dove vuole il padrone, stigmatizzando il conflitto d'interessi altrui mentre si fanno - oggettivamente quanto silenziosamente - portatori di quelli della proprietà. Intendiamoci: noi si crede all'autonoma scelta redazionale, e questo nonostante lo stesso Cairo, in un video girato in marzo per la sua forza vendita pubblicitaria in pieno lockdown, proditoriamente diffuso alle sue spalle, sull'onda dell'entusiasmo si sia lasciato andare a una confidenza:
«Sto per andare al Corriere dove starò un po' con il direttore Luciano Fontana per chiudere al meglio il giornale», spiazzante esternazione corretta in corsa: «Lo fa lui, ma io gli sto vicino per dargli il sostegno che è giusto fornire in momenti come questo».
Non solo: pensiamo anche che articoli, interviste, recensioni grondanti entusiasmo sui programmi de La7 siano frutto del libero convincimento dei cronisti e dell'insigne critico, e non rispondano alle esigenze di realizzare una proficua sinergia con una tv il cui proprietario è lo stesso Cairo (e pazienza se poi talvolta anche in qualche trasmissione si rilevano corrispondenze d'amorosi sensi non dichiarate, vedi per esempio le ospitate di Franco Bernabè a Otto e mezzo, che ammorbidiscono la di solito coriacea Lilli Gruber, visto il legame che li unisce: il manager è il suo testimone di nozze).
Nulla di male, per carità, ma vogliamo dire che tutto questo manda definitivamente in soffitta il tema del conflitto d'interessi? Sul quale per anni si sono esibite le menti migliori della casta stampata, con analisi tutte a senso unico, e identiche conclusioni all'insegna del «Crucifige!», quando si trattava di asfaltare Silvio Berlusconi? Che era sì in conflitto d'interessi, ma come tanti prima e dopo di lui. Come dimenticare per esempio che fratello (Umberto) e sorella (Susanna) dell'Avvocato, il signor Fiat, Gianni Agnelli, erano stati eletti rispettivamente al Senato per la Dc e alla Camera per il Pri?
Persone degnissime, per carità - a «Suni» poi sono stato legato da un gran bel rapporto personale, franco e schietto, tanto che le offrii di tenere una rubrica in tv - ma possibile che nessuno abbia mai sollevato obiezioni sul fatto che per otto anni è stata sottosegretario agli Esteri, e poi ministro titolare dello stesso dicastero, spesso in missione in quegli stessi Paesi in cui la Fiat aveva corposi interessi economici?
Claudio Lotito Foto Mezzelani GMT 14
Che la Fiat tutelava autonomamente, con una sorta di diplomazia parallela a quella della Farnesina, chiudendo accordi in piena guerra fredda Est-Ovest con la Russia sovietica per aprire una fabbrica a Togliattigrad, oppure facendo entrare nel capitale sociale il colonnello libico Muammar Gheddafi in piena crisi dei rapporti tra mondo arabo, Israele e l'Occidente (peraltro negli anni di sanguinosi attentati). Ma non disdegnando alla bisogna gli interventi di sostegno decisi dal governo amico di turno, per esempio la rottamazione, ovvero gli incentivi agli acquisti di auto graziosamente concessi dal primo governo di Romano Prodi.
Agnelli rispettoso dell'autonomia delle redazioni? Insomma. Soccorre in proposito l'autobiografia di Giulia Maria Crespi, in cui la già proprietaria del Corriere riferisce una conversazione con l'Avvocato, che fotografava così la direzione di Piero Ottone: «La Fiat ha filiali in gran parte del mondo.
Il Corriere parla della Russia, della Spagna, dell'Argentina, del Brasile con troppa spregiudicatezza, senza peli sulla lingua. Per noi questo è un problema. In politica interna poi, certi argomenti, certi tempi vengono trattati senza sfumature. La questione dell'aborto, del divorzio: noi proprio non potremmo permettere prese di posizione così dirette».
Alè. Conflitti d'interesse? Soffritti, piuttosto, visto che poi in realtà a essere cucinati sono interessi convergenti, legittimi ma mai esplicitati. Così, se in pubblico si sputano sentenze di fuoco, dietro le quinte si stempera, si tratta, ci si accorda.
Durante la direzione di Eugenio Scalfari Repubblica se ne uscì con un'idolatrante titolo nei confronti dell'Ingegnere, a proposito di sviolinate nei confronti dell'editore: «Carlo De Benedetti conquista un terzo del Belgio», nientemeno, manco fosse Napoleone, e questo perché aveva scalato la ricchissima holding Sgb; peccato non fosse vero niente, e in un'intervista pubblica lo stesso De Benedetti mi confessò: «Sono stato un genio nell'ideazione, ma un coglione nella realizzazione»
Scalfari ha anche raccontato che alla fine della guerra di Segrate per il controllo della Mondadori c'era un problema di spese legali, che nessuna delle due parti voleva saldare. Come qualcuno ricorderà, la guerra tra Silvio Berlusconi e l'Ingegnere era stata risolta grazie alla mediazione del vituperato Giuseppe Ciarrapico, longa manus di Giulio Andreotti (a Repubblica evidentemente si scordarono per un momento di averlo dipinto come Belzebù), ma chi si doveva accollare quei 50 milioni di lire?
L'uovo di Colombo lo trovò Scalfari, offrendo al Cavaliere questo accordo: le spese te le accolli tu, in cambio noi ti tratteremo «come socio» (testuale), informandoti preventivamente delle notizie che ti riguardano per darti la possibilità di dare la tua versione. E come non evocare - sempre a proposito di coerenza, quella sì in conflitto d'interessi con il proprio core business - la richiesta di fallimento della concorrente Rizzoli ai tempi della P2?
Piccolo dettaglio non marginale: Scalfari e Carlo Caracciolo avevano sottoscritto un accordo con la medesima Rcs in nome di «interessi comuni», per eventuali acquisizioni di testate locali con «reciproche consultazioni», intesa rimasta segreta fino al giorno del ritrovamento delle relative carte a Villa Wanda, residenza toscana del venerabile Licio Gelli.
PIERO OTTONE E CARLO CARACCIOLO
E quando la Rizzoli, causa P2, finì amministrata dal Nuovo banco ambrosiano di Giovanni Bazoli, quest' ultimo propose alla Fiat - attraverso la controllata Gemina - di entrare in una cordata per prendersi la casa editrice, insieme all'imprenditore Giovanni Arvedi, la Montedison di Mario Schimberni («imposto a Bazoli da Bettino Craxi», così almeno ha riferito Cesare Romiti) e alla Mittel, società di cui era presidente lo stesso Bazoli. Pier Domenico Gallo, uomo di fiducia di Bazoli e direttore generale del Nba dall'82 all'87, riconobbe in un libro: «C'era un classico problema di conflitto d'interessi».
Risultato? Bazoli affidò la presidenza al costituzionalista Paolo Barile, e oplà: il problema fu risolto, dopo di che Bazoli tornò in Mittel (richiesto di un parere dal Giornale su tale ambaradan, Romiti ha risposto con un diplomatico: «No comment»). E tralasciamo poi le telefonate tra Ezio Mauro e il medesimo Bazoli nel 2014, in cui il direttore di Repubblica in vista del cambio di direzione al Corriere, suo rivale diretto, s' intrattiene con l'editore del medesimo per dirgli: «Se tu lo tieni in mano (il giornale - ndr), io sono tranquillo».
carlo de benedetti eugenio scalfari
E perché? Per «impedire delle porcherie», ovvero «una scelta sciagurata per il Corriere dal punto di vista della democrazia». Insomma, due autorevoli esponenti di gruppi opposti si confrontano amichevolmente sul futuro, anche alle spalle di altri soci Rcs, tipo Diego Della Valle, che «ha fatto attività di destabilizzazione, è uno talmente spregiudicato», commenta in un'altra telefonata Bazoli con John Elkann, presidente Fiat e a sua volta grande azionista del Corriere a sua volta.
Questo prima di edificare il polo denominato «Stampubblica», una superconcentrazione editoriale che mette insieme Stampa, Repubblica, ma anche Espresso e Secolo XIX, giornali locali, siti internet e radio. Indimenticabile l'apertura di Repubblica, domenica 31 maggio: «La partita di Mediobanca», un titolo a tutta pagina più da Sole 24 Ore, in verità, e pazienza se il lettore medio del giornale sarà rimasto vagamente spiazzato.
L'importante era posizionare la testata nel match da cui dipendono i futuri equilibri del potere finanziario italiano, scelta che c'è da supporre non sia risultata sgradita all'editore (che da uno dei soggetti coinvolti, Banca intesa, ha ottenuto per Fca il finanziamento Covid per oltre 6 miliardi di euro, garantito dallo Stato).
Giovanni Agnelli con Lapo e John Elkann
Come ha spiegato Bazoli in un'intervista a Repubblica nel maggio 2016: «Le relazioni contano, negli affari come nella vita». E i conflitti d'interesse, se ci sono, sono sempre quelli degli altri.
urbano cairo foto mezzelani gmt5 urbano cairo foto mezzelani gmt1 PIERO OTTONE SCALFARI Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ad, e Giovanni Bazoli, presidente onorario urbano cairo foto mezzelani gmt3 urbano cairo foto mezzelani gmt4 SILVIO BERLUSCONI EMILIO FEDE eugenio scalfari carlo de benedetti john elkann da giovane
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