Malcom Pagani per “www.gqitalia.it”
Mino Raiola conosce 8 lingue «e non ne parlo bene nessuna». Dice «guarizione» invece di guarigione e trasforma «incredibile» in «incredibilità». Ha il naso di Cyrano e il ventre di Sancho Panza («La mia prossima battaglia è la dieta»), ma gregario non si è mai sentito: «Se qualcuno mi ordina di fare una cosa, io per principio faccio il contrario, mi impunto e gli dimostro di essere libero».
Mino Raiola, procuratore, scarpe grosse e cervello rapido, è milionario. E milionari sono i suoi assistiti − Ibrahimovic, Pogba, Balotelli, Donnarumma − che agitano estati, conti correnti e desideri dei presidenti: «Ai calciatori domando: “Vuoi diventare il più pagato o il migliore?”. Se rispondono “il più pagato” gli indico la porta.
Il pittore che dipinge un quadro per denaro e non per passione non lo vende. I soldi sono molto importanti, ma se li insegui non arriveranno mai e con il tempo finisci per capire che c’è sempre qualcuno più ricco di te». Montecarlo. Sul porto splende un sole freddo. Raiola illustra il panorama: «Fino a quel punto è Francia, Monaco inizia al di là del muro».
Lei qui ha la residenza.
Sono sempre in giro, a Monaco vivono i miei figli e mia moglie. Convincerla è stato difficile. Per anni mi ha tormentato con Foggia, la sua città: «Il paradiso, il posto più bello del mondo». Io sono ignorante e 25 anni fa Foggia non sapevo neanche dove fosse.
A Foggia portò Bryan Roy dall’Ajax.
Si trovò ad allenarsi nel parcheggio: «Ma dove mi hai portato?». Poi cambiò idea. Lo adoravano, gli dedicavano i cori: Abbiamo un angioletto biondo/adesso è diventato nero/ segnerà presto per noi/si chiama Bryan Roy. A Foggia mi trasferii per un anno. Con quel genio di Casillo e con Zeman diventammo amici. Fumavamo, scherzavamo: «Zdenek, tu di calcio non capisci veramente un cazzo».
Litigavate mai?
Si ferma il campionato per le nazionali, partono tutti e parto anch’io. Resto due giorni ad Angri e poi torno da Zeman: «Ciao mister, come stai?». Silenzio. Gli offro una sigaretta. Lui è tirchissimo e accetta, ma non mi rivolge la parola: «Oh, ma che cazzo hai?». «Dove sei stato? Se lasci Foggia mi devi avvertire, non conosci le Tavole della Legge?». «Hai bevuto ieri sera, mister? Io non sono un calciatore e tu non sei Dio, faccio come voglio». «O sei nel gruppo e rispetti le regole o sei fuori», rispose. Ci pensai. Aveva ragione. Gli chiesi scusa. Gli ho voluto veramente bene.
Siete ancora amici?
Ci siamo un po’ persi e mai veramente ripresi. Anni fa, con un colpo pazzesco, presi la procura di Nedved. Glielo dissi e sbiancò. Gli rodeva che avessi trovato un giocatore ceco e temeva che qualcuno pensasse: Zeman ci guadagna. Mi disse: «Lo devi lasciare stare», gli risposi di no. Gli promisi di portarlo alla Lazio. Un giorno, Zdenek mi telefonò in piena trattativa: «Tu sei pezzo di merda, non hai rispettato parola».
Per un equivoco con l’intermediario, Nedved rischiava di andare al Psv. Risolsi la grana e Pavel approdò a Roma. Zeman ne decise arbitrariamente lo stipendio: «200 milioni per ragazzo sono più che sufficienti». Il resto della rosa guadagnava il quadruplo, litigammo e non ci parlammo per mesi. L’ingiustizia la sanò Zoff. Un signore. Come Cragnotti.
Calciatori, presidenti, agenti. Gente in continua emigrazione.
Da Angri, capitale mondiale del pomodoro pelato, i miei si erano spostati in Olanda, ad Haarlem, in cerca di fortuna. Annunziata Cannavacciuolo, mia madre, era l’ambizione e l’orgoglio. Mio padre Mario, l’idealismo. Vivevamo con uno zio panettiere e, se toglie la parte criminale, la casetta sembrava il set de Il Padrino. Ragù, salami, spettacolini. Il periodo più felice della mia vita.
I suoi aprirono un ristorante.
Napoli, aperto 24 ore al giorno. Volevano rieducare gli olandesi: «Il cibo fa schifo, insegniamogli a mangiare». Papà rientrava alle 4 del mattino, non lo vedevo mai, decisi di dargli una mano. Un giorno arriva un cliente. È vestito male e sembra sporco. Non mi muovo. Sento la voce di papà che mi dice: «Mino». Io scatto subito, meglio non contraddirlo. Devo a lui se oggi sul lavoro sono molto duro.
E lei?
Silenzio assoluto. In un ristorante cresci in fretta. Impari a prenderti le tue responsabilità. Oggi quando un affare fallisce non penso mai: È colpa degli altri, ma sempre: È colpa mia.
Come andò con quel cliente?
Vedo che ha scelto la bottiglia più costosa e dico a papà: «Sei sicuro che possa pagare?». «Mino, esistono due tipi di clienti. Il cliente e il cliente. Stappa il Sassicaia e sbrigati». Lo straccione era ricchissimo. Fu una lezione. Non giudico più dalle apparenze. Come mi insegnò il mio professore di storia, chiedo sempre: perché? Se la risposta non mi convince, non muovo un dito.
Avrebbe voluto diventare calciatore.
Ora mi vede grasso, ma ero forte. Poi smisi e pensai di diventare avvocato. Qualche esame di Legge l’ho anche sostenuto. Su certi aspetti legali ancora oggi non ascolto nessuno.
È stato ingannato agli inizi?
Primo affare con Ferlaino, del Napoli, e prima inculata. Mi doveva 10 milioni di lire. Mi ricevette mieloso: «Siamo napoletani, Mino. Abbiamo una parola sola, noi». I soldi non li vidi mai. Papà diceva: «La parola la perdi un’unica volta, poi perdi il diritto di averla».
I presidenti di una volta...
Un altro mondo. Molto prima di portare Roy a Foggia, ballò l’ipotesi Fiorentina. Andai da Cecchi Gori. Era indeciso se prendere Laudrup o Roy. Mostrò le foto a Rita Rusic: «Prendiamo il Brian biondo o il Bryan nero, amore?».
«Io preferirei il cioccolatino, ha una faccia molto più dolce». Andai da Mario Cecchi Gori per chiudere l’affare. «Mi girano le palle», mi disse. Era convinto che la nuora avrebbe finito per spolparlo. Poi Van Gaal pose il veto e Cecchi Gori risparmiò i suoi soldi.
Quanto è cambiato il calcio?
La percezione dei dirigenti italiani era quella che oggi abbiamo di arabi o cinesi. Ricche teste di cazzo pronte a svenarsi. L’acquisto di Maradona creò scandalo: «Come fa una città come Napoli a spendere tanto per un calciatore?».
E come sta il calcio italiano?
Se perde la passione della gente che tiene ancora in vita l’Arca dei diritti tv, si ritrova nella merda. Non si è investito a tempo debito. Nessuno ha cercato un’evoluzione o creduto nell’incredibile: si fa politica per ostruire, non per costruire. Finché ci sarà gente come Tavecchio, moriremo ogni giorno. Non è un fatto personale: vuoi dargli un posto perché non ha niente da fare? Daglielo. Ma, parlo anche di Uefa e Fifa, mettiamo al comando i rivoluzionari. Sa una cosa?
Dica, Raiola.
In Italia il proprietario di un club non è proprietario di un cazzo. Possiede solo 60 stipendi da pagare. Se la squadra vince, è un eroe; se perde, è un coglione da impalare. Comandano i tifosi. Oggi chi è intelligente nel calcio italiano. Se butti 90 milioni dalla finestra senza ritorni non hai un valore, ma una perdita secca. I Glazer nel Manchester United non hanno messo un pound, ma hanno portato managerialità e strategia. Hanno trovato una squadra nello sprofondo, sono in attivo di un po’ di miliardi.
Comprerebbe mai un club?
Fui più vicino di Pallotta a comprare la Roma con alcuni soci. Avrei voluto rifondarla iniziando dall’allontanamento di Totti. Lui è un pezzo di storia, ma volevo partire con volti nuovi e senza pesanti eredità. All’epoca, UniCredit, piena di sportelli in città, non era proprio entusiasta.
Pogba andrà al Chelsea?
Non adesso, non credo, ma non escludo mai niente. Il mio lavoro non è portare tutti al Chelsea. Non sono un tassista. Gestisco gente, di cui sono orgogliosissimo, che non è mai uscita dalla provincia. Il mio mestiere è aiutare le persone a trovare la loro dimensione, a credere nell’incredibile. Con i ragazzi non ci sono contratti. Basta una stretta di mano: o tutto o niente. Ci troviamo e ci capiamo, però se non ci capiamo più, poi, liberi tutti.
Come ha convinto Pogba?
Non l’ho convinto né lui ha convinto me. Fu un amico a dirmi: «Mino, segui quel ragazzo». Gli diedi retta. Lo vidi giocare e mi innamorai. Poi ho anche scoperto che condividevamo gli stessi valori.
Lei si piace?
In verità mi trovo noioso.
Ogni tanto la spara grossa: ha detto che Donnarumma varrà presto 170 milioni di euro.
Rivediamoci fra tre anni per riparlarne.
Ibrahimovic tornerà in Italia?
Potrebbe. C’è un discorso avviato con una squadra in cui ha lasciato il segno.
È il Milan?
Sì. Ibra ha dimostrato di poter fare gesti incredibili. Anche di rinunciare a tanti milioni per andare al Milan. A oggi, ancora non ha scelto.
Balotelli è finito?
Vale sempre la livella di Totò. Uno è finito solo quando è morto. Mario ha fatto passi importantissimi nella sua vita privata, e ora che non fa più stronzate deve ritrovare il suo equilibrio da calciatore. Perché è un grande calciatore. Se Balotelli avesse avuto la mentalità di Zlatan, Messi avrebbe avuto qualche pallone d’oro in meno. Mi dispiace per Mihajlovic, con Mario si è comportato da grande uomo.
Con lui e con Cruijff ha litigato molto.
Cruijff, grandissimo giocatore, prendeva applausi a prescindere, anche se diceva che il pallone è quadrato. Io dissentivo. Con Mihajlovic andò anche peggio. Gli avevo dato del razzista e lui a me del pizzaiolo. Ma ho dovuto ricredermi e si è ricreduto anche Ibra. Una volta, anni fa, voleva partire in macchina di notte per picchiarlo, ora sono grandi amici.
Raiola ha più amici o nemici?
Ferguson dice di non aver mai odiato nessuno tranne me. È un grande complimento. Se non hai nemici, non hai lavorato bene. Le cose normali le fanno tutti. Io muovo l’aria. Muovo i sogni. E ogni tanto faccio incazzare qualcuno.
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