Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Finisce come comincia. Questo 2016. Il bebè gigante che vola spaventevole tra i pali nelle sabbie del Qatar con quelle sue manone addestrate ad acchiappare anche le mosche, lui moscone bionico, figuriamoci la palla del Dybala nell’ultimo rigore che assegna al Milan una coppa inventata dal nulla e celebrata nel deserto.
Buona per l’addio di Berlusconi che, incerto fino in fondo se tirarsi o ritirarsi, nel dubbio somiglia sempre più ai cinesi non ancora identificati che hanno comprato il suo cuore, mentre Galliani si asciuga una lacrima di lusso, non si sa se per il suo patron andante o perché sa di somigliare sempre più a un Dorian Gray sulla cui maschera infranta affiora a tragiche spanne la vendetta suina che lo abita.
Siamo partiti con la Juventus che fingeva d’inseguire il Napoli e arriviamo, dentro uno sbadiglio grande come piazza Navona, con la Juventus che finge d’inseguire se stessa, e dietro a quattro punti, ma sono sette, la Roma città eternamente seconda, che finge di crederci. Va verso il suo sesto scudetto consecutivo, la Zebra.
Che ha degradato il pallone a una storia già scritta, il peggio del peggio per uno sport che si vanta di magnificare il caso, per via che la palla rotola per i cazzi suoi. Perdere Pogba non le è bastato a diventare umana.
Pjanic è quello che è, cioè quello che è sempre stato, luce che va e viene. Non sai mai quando va e quando viene, l’astenia cronica delle donzelle ottocentesche, Difficile fidarsi e affidarsi. Resta la difesa. Ovvero, l’assoluto. L’oro di Conte e poi di Allegri.
Buffon ci crede sempre, gode ancora a quarant’anni a stare dentro un paio di mutande ad acchiappare palloni. Cerca di darsi un tono, ma resta un bel giuggiolone. E’ che arrivano alla Juve e diventano tutti belve, come i mutanti geneticamente modificati dallo scienziato pazzo. Da Bonucci a Sturaro.
Per non parlare dell’Omo Allegro bellamente epilettico, da che era, prima del battezzo bianconero, un tipetto docile che chiedeva scusa di esistere. Aggiungi che è arrivato lui, Higuain, direttamente dal sublime bordello di Napoli nel convento sabaudo e subito convertito da Saggio Panza in uno che fa il minimo cioè il massimo, segnare solo quando è strettamente necessario.
Aggiungi che Dybala è lì lì per diventare uno dei più forti al mondo. Sottrai che la Champions è quest’anno l’obiettivo esplicito e che, in quanto esplicito, divora il doppio delle energie. Trova in questo la speranzella per la banda di Spalletti, un cranio solo al comando.
Abbiamo cominciato che era la Roma di Rudi e la ritroviamo che è la Roma di Lucio. Ha invaso Trigoria con la sua magnifica ossessione, mascherando la follia con estri attoriali, là a Cagliari che sviene a bordo campo, qua picchiando e quasi spaccandosi la fronte sul tavolo in conferenza stampa come fosse una noce di cocco in mano a uno schizzato.
O delirando e diluviando calcio a più non posso. Persona vera, Lucio, truccata da personaggio, in questo mondo di mediocrissime comparse. Lui e Sarri. Altro bel tipo, traviato dalle sue letture, quello sporcaccione di Charles Bukowski che, detto tra noi, avrebbe apostrofato il Mancio allo stesso modo, dandogli del finocchio, dovendo semplificare la sua avversione da uomo di tuta, viscere e pelo selvatico, per un damerino col nodo sempre alla moda e il foulard che non diventa mai un nodo scorsoio.
“Vecchio cazzone!” ha replicato da par suo, il Mancio, che percepisce nel tipo alla Sarri lo straccione clandestino a bordo. Sta di fatto che Sarri c’è ancora, eccome, che se la fa alla grande, a giocarsela in Europa, mentre del Foulardone si sono perse le tracce. E tutti che se ne fanno una ragione.
Spalletti ritrova Dzeko, che da brocco è diventato cocco. Sembrava perso, ormai invaso da tutti i dubbi del mondo, incluso quello d’essere diventato una sega enorme. Sarri perde Higuain e trova Mertens. Che finalmente diventa quello che è. Fenomeno. Ma è tutto il Napoli che impressiona. Tipo vedere due fighetti come Insigne e Callejon spremere le loro non dotatissime mammelle per fare su e giù novanta minuti, a destra e a sinistra.
I cinesi prendono tutto. Se ne fottono di quanto sei bravo ad annodare un foulard. Era l’Inter di Mancini, è diventata l’Inter del rude Pioli, passando per l’olandese, De Boer, che racconta alla psichiatra di turno la sua storia meschina. Era il Milan di Mihajlovic, è il Milan di Montella. Come passare da Mangiafuoco alla cruna dell’ago.
Testa fina, il napoletano, se li mette in tasca tutti. L’Atalanta di Reja è diventata l’Atalanta di Gasperini. Un altro mondo. Non solo Donnarumma. S’impongono giovani talenti come Caldara, Gagliardini, Rugani, Locatelli, Bernardeschi. Belotti su tutti. Graziani e Pulici nello stesso calciatore.
Abbiamo lasciato Ranieri osannato nella sua Leicester in festa, chiudiamo con Antonio Conte invocato a Londra, sponda Chelsea. Mourinho è una zuppa di bile. Zamparini, lui non cambia. Nelle sue fauci da orco spariscono a dozzine.
Sparita una squadra intera, la Chapecoense in quello che sembrava un charter allegro ed era invece una bara immane.
Della sentenza Lulic non scrivo. Non trovo l’aggettivo in canna. Disgustosa? Non rende l’idea. Davano da anni la caccia al razzista. Ci hanno ammorbato con centinaia di spot, anatemi, slogan. Un tormentone.
Arriva bello, esemplare, un tipo che ti scodella una delle più razzistiche frasi mai pronunciate da essere parlante e calciante, mica nella mischia isterica del campo, a freddo, a favore di telecamera, e tu dici, eccoli, i trombettieri dell’etica ora si scatenano, le anime pie, gli fanno un culo così, lo sospendono a vita, minimo dodici giornate, lo spediscono a vendere calze sulle spiagge di Porto Rotondo. Sapete com’è andata.