Marco Bonarrigo per corriere.it
Tra indiscrezioni, velate polemiche, sondaggi controversi e silenzi istituzionali, l’unica cosa certa sul futuro dei Giochi Olimpici di Tokyo è la loro incertezza. A dispetto del monolitico ottimismo del Cio (che nelle ultime ore si è occupato principalmente di blindare la famosa «Regola 50», quella che punisce qualunque forma di protesta politica o a favore dei diritti civili da parte degli atleti durante gare e premiazioni) sulla sicurezza che i Giochi si svolgano dal 23 luglio all’8 agosto prossimi permangono parecchi dubbi.
L’epidemia di Covid in Giappone continua ad espandersi, anche se i quasi 4.500 nuovi casi al giorno sono un numero in assoluto modesto rispetto alla media dei paesi occidentali (ma non per l’Asia) mentre il piano vaccinale procede al rallentatore: i cittadini coperti sono ancora meno dell’uno per cento della popolazione totale, percentuale tra le più basse al mondo.
L’ostacolo principale al via libera resta la fortissima impopolarità dei Giochi nella popolazione:quasi il 75% dei giapponesi si giudica vulnerabile e ritiene che lo sbarco di decine di migliaia di atleti e accompagnatori da 200 nazioni diverse metta a forte rischio una nazione che tutto sommato finora ha saputo contenere l’epidemia. Ecco perché ogni minimo segnale di allarme diventa un caso nazionale, come il contagio di mercoledì (nella zona di Fukushima) di un poliziotto addetto alla scorta della fiamma olimpica che tra mille precauzioni viaggia lungo il Paese verso Tokyo.
Il governo non vuole assolutamente prendere decisioni impopolari e quindi continua a prorogare decisioni ufficiali su un evento ormai alle porte. Se ormai è certo che non ci saranno tifosi stranieri negli stadi, si dovrà attendere fino alla fine di giugno per capire se gli impianti saranno aperti quantomeno ai tifosi locali, con evidenti, enormi problemi per la vendita dei biglietti che sono una risorsa economica cruciale dei Giochi.
E intanto si moltiplicano le voci su come le organizzazioni sanitarie nipponiche terranno sotto controllo gli atleti. Data per certa l’effettuazione di test su base giornaliera, si sta facendo largo (secondo esperti citati dal’agenzia Kyodo News) l’ipotesi di un esame Pcr della saliva meno invasivo e più rapido del tampone nasale, anche se con un protocollo ancora da perfezionare.
E mentre il Cio invita i comitati olimpici nazionali ad «aiutarsi l’uno con l’altro per procedere con le vaccinazioni degli atleti», dal pianeta ciclismo professionistico arrivano notizie inquietanti proprio sul fronte vaccinale. Alcuni membri dello staff del team Uae Emirates (quello del vincitore del Tour de France Tadej Pogacar) sarebbero risultati positivi ai controlli martedì, prima della classicissima Freccia Vallone, pur essendo stati sottoposti a vaccino nel mese di gennaio negli Emirati Arabi. Il siero era Sinopharm, di produzione statale cinese, adottato in molti paesi del Medio Oriente.
«Il vaccino cinese — ha spiegato alla Gazzetta dello Sport il virologo Fabrizio Pregliasco — non è così eccezionale e mi risulta protegga solo nel 50 per cento dei casi. E questo ovviamente è un problema». Resta aperta la questione dei falsi positivi. Sia alla Freccia Vallone che al Tour of the Alps, che si sta svolgendo tra Italia e Austria, sono risultati positivi a un primo screening diversi atleti risultati poi negativi al secondo e «scagionati» anche dal test molecolare ma esclusi definitivamente dalle manifestazioni. Un altro problema nella strada verso Tokyo, città dove il governo potrebbe decretare presto un altro lockdown duro.