Mario Parolari per corriere.it
Maurizio Stecca non poteva chiedere un regalo migliore per il suo Natale. Quattordici giorni dopo il ricovero l’ex pugile 58enne, campione olimpico a Los Angeles ’84, ha finalmente vinto «il match più difficile» della sua vita sconfiggendo il coronavirus. Dopo essere uscito dalla terapia intensiva, Stecca ha annunciato sul suo profilo Facebook di essersi finalmente negativizzato. Esattamente come quando aveva comunicatol’aggravarsi delle sue condizioni, ha accompagnato il post con una foto che lo ritrae sorridente, con il pollice all’insù, ancora sul letto d’ospedale.
Maurizio Stecca, innanzitutto come sta ora?
«Il peggio è passato. Non ho più il Covid, sono fuori pericolo e lavoro per recuperare la respirazione. Ogni giorno mi abbassano l’ossigeno e mi tolgono un’altra flebo. Non distinguo ancora i sapori, ma ho ricominciato a mangiare».
Le hanno detto quando potrà tornare a casa?
«Ancora no, ma non ho fretta. Se è necessario che mi tengano in ospedale per delle cure particolari resterò, ma vorrei tornare a casa il prima possibile per liberare il posto per chi ne ha più bisogno di me».
Quanto dura è stata questa esperienza?
«È stata orribile, l’esperienza più brutta della mia vita. Mi hanno intubato e addormentato per quattro giorni. Chi non vive sulla propria pelle quelle cure che ti tengono attaccato alla vita non può capire cosa sia davvero il Covid. Ringrazio i reparti ospedalieri e gli infermieri, che mi chiamano sempre Maurizio».
Com’è cambiata la sua idea sul coronavirus?
«Non si finisce mai di essere prudenti. Io ero sotto costante osservazione per una malattia del sangue, avevo ricevuto due dosi di vaccino, ma evidentemente non ero Superman. La gente deve capire che nonostante la vita sia fatta di scelte personali non si può mettere a rischio gli altri. Ad assistere me, un solo paziente, c’erano otto infermieri. I quattro no-vax in camera con me stavano occupando il posto di qualcun altro. Le nostre scelte contano».
Una volta che si sarà ripreso, quali sono i suoi piani per il futuro?
«Ho già contattato la Federazione (pugilistica italiana, ndr), voglio assolutamente portare la mia dolorosa esperienza nelle scuole e a bordo ring. Sia come atleta e campione, sia come persona comune, penso che la mia testimonianza possa essere d’esempio. È inutile farci la guerra, dobbiamo unirci per dare una mano agli ospedali».
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