Matteo Pinci per “la Repubblica”
E’ successo che dopo Roma- Inter all' Olimpico, il video assistente Orsato raggiungesse l' accompagnatore degli arbitri della Roma, Dionisi, per spiegargli come mai non abbia "suggerito" di concedere il rigore per il fallo dell' interista Skriniar su Perotti. In tv, però, è passata soltanto l' immagine dell' arbitro Irrati che chiede aiuto al Var sussurrando all' auricolare: «Che faccio?». Istantanea che sembra quasi giustificare l' uscita di Buffon sulla moviola: «Così non mi piace, se ne fa un uso sbagliato».
Che sia il capitano della Nazionale a sollevare i primi dubbi non sul Var, ma sulla sua applicazione eccessiva - fa effetto. Nessuno però ha cercato o chiesto chiarimenti al telefono con lui: «Non siamo arrabbiati», giurano i vertici istituzionali. Certo il Var è un progetto condiviso da Aia, Lega e Federcalcio: magari con gli azzurri da oggi a Coverciano gli capiterà di confrontarsi sul tema. Di sicuro, l' idea di Buffon è cambiata in campo: chi con lui ha parlato prima dell' inizio del campionato lo aveva visto «entusiasta».
ARBITRI INSICURI
Il problema, ora, è definire i limiti della "moviola". Al delegato romanista, Orsato ha spiegato di aver visto quel rigore su Perotti, ma di aver tutelato la discrezionalità dell' arbitro sull' episodio. Insomma, per il video assistente non era un "chiaro errore", quindi niente moviola in campo. Ma quel dubbio del fischietto, «che faccio?», impietosamente diffuso sugli schermi di tutta Italia, costringe a riflettere sulle conseguenze della tecnologia.
Che fino ad ora ha prodotto arbitri meno sicuri delle proprie scelte: lo scorso anno soltanto 6 errori arbitrali dopo 2 turni, in episodi "rilevabili" al video. In queste prime due giornate, invece, il Var è già dovuto intervenire in 12 circostanze: esattamente il doppio. Il segno che i fischietti tendono a non scegliere e a affidarsi alla tecnologia.
Con qualche effetto grottesco, come il gol concesso alla Spal dopo quasi 3 minuti di sospensione. O quello annullato al Benevento con palla già a centrocampo dopo che tutto lo stadio aveva festeggiato il pari. E poi la dimostrazione d' impotenza della 1ª giornata, quando un gurdalinee in Bologna-Toro ha neutralizzato l' intervento del video sbandierando un fuorigioco inesistente prima che la palla entrasse. O il fuorigioco non visto sul rigore concesso al Genoa contro la Juventus, sabato.
LAVORI IN CORSO
Una circostanza tutta da esplorare, quella di Marassi: «Sui rigori va verificato se il fallo in area c' è, ma anche se non ci siano irregolarità nello sviluppo dell' azione», la direttiva agli arbitri e agli assistenti fornita dai responsabili del progetto. Tecnici e arbitri devono ancora migliorare nell' applicazione del protocollo: capire quanto indietro "cercare" episodi discutibili in ogni azione al vaglio. «Ma pensare a una posizione di off side nel caso del rigore per il Genoa era difficile», ammette chi ha studiato la dinamica. Insomma, l' applicazione può migliorare. Ma gli errori sono sin qui 2 su una dozzina di episodi.
INVASIVITÀ
La questione semmai è un' altra, quella su cui poneva l' accento proprio Buffon: il numero di interruzioni. In più di una partita su due capita di vedere un arbitro che porta l' indice all' orecchio e chiede "suggerimenti" su cosa fare. Ogni gol, ogni contatto sospetto in area, costringe a soste forzate. A Napoli sono serviti anche 40 secondi per battere un angolo: Di Bello era preso a verificare via radio un presunto contatto in area.
E i recuperi si dilatano: 9 minuti a Milano, 7 a Ferrara, sono sempre di più le partite infinite. Il pro, è la fine delle proteste: chi è vittima di decisioni prese al video, le accetta. Il contro, è il rischio di esultanze "congelate" in attesa che il gol sia convalidato: dalle parti del "Vigorito", c' è ancora chi è convinto che il Benevento, la partita col Bologna, l' abbia pareggiata al 98'.