Giulia Zonca per “La Stampa”
armadietto di giorgio chiellini
Tutti gli addii sono appesi a un'immagine e quelle che definiscono il saluto dei campioni si somigliano: un giorno di festa a cui segue un armadio vuoto. Una foto di gloria dedicata a chi ha saputo fare qualcosa di straordinario e uno scatto quotidiano che è passato nella vita di chiunque. Giorgio Chiellini è l'ultimo a farci sbirciare nel suo armadietto, spazio quasi sacro che diventa all'improvviso terra di nessuno.
È il passaggio definitivo, via la maglia, via il numero, via gli attrezzi del mestiere, via le scaramanzie e le abitudini. Si passa da campioni a ex nello spazio di un mini trasloco. Il tempo di svuotare un'anta e tutto cambia.
Chiellini ha la sua avventura americana da godersi a pieno, ma il giorno del distacco resta questo, con la sacca degli azzurri davanti a quello che era il suo angolo. Dopo aver assorbito un'intera carriera di emozioni torna neutrale, privo di carica, in attesa di essere riassegnato.
Quell'anta che ora dondola senza più niente da custodire è stata sbattuta, aperta con orgoglio, presa probabilmente a pugni. Il capitano della Juve e della nazionale ci si sarà magari appeso al rientro da risultati sconfortanti, sarà rimasto a fissare il tesoro della certezza dopo le difese memorabili, ci si sarà seduto davanti distrutto o estasiato. Ci avrà appoggiato la testa sognante alla fine dell'impresa e la schiena dolorante al rientro dalla disfatta.
Alessandro Del Piero ha liberato l'armadietto dopo 19 anni in bianconero e lo ha fatto in un giorno senza allenamenti e senza persone intorno, lo ha chiuso e si è fermato fuori, dove lo avevano sempre aspettato i tifosi, come per togliere la distanza. Un giro di chiave e si passa da super a comune mortale. O quasi. Francesco Totti, ha abbandonato lo spogliatoio con un clic sulla gruccia in primo piano, un appendiabiti con la lupa della Roma e niente più.
Michael Phelps è andato per sottrazione. Fin da ragazzino ci appiccicava ritagli a strati: all'inizio era l'articolo sull'imbattibile Ian Thorpe, Phelps aveva 15 anni, stava per debuttare alle Olimpiadi di Sydney.
Prima di quelle di Pechino, nel 2008, dove sarebbe diventato il più grande nuotatore della storia, sopra Thorpe, già ritirato, c'era Crocker, l'ultimo capace di batterlo. E poi via via, ritagli che gli consigliavano di non tornare dopo Londra 2012 e motivazioni che cadevano dopo qualche bracciata.
Ostacoli subito superati e trasformati in coriandoli nel suo armadietto che a un certo punto è stato vuoto. Di facce, parole e desideri.
Tom Brady se ne è andato dopo aver fatto sedere la figlia sul ripiano ripulito. Una foto di niente non avrebbe avuto senso per chi in pratica ha tenuto in mano gli Stati Uniti. Meglio passare alla prossima generazione e alla prossima vita, senza una palla ovale da rincorrere.
Johan Cruyff ci ha fumato sopra. Il celebre scatto con lui seduto sulla panchina, avvolto dagli anelli di una sigaretta, davanti allo scaffale senza oggetti, non è quella dell'ultimo giorno.
Ha la maglia dell'Olanda, è ancora in attività, ma è quello il momento che è circolato quando Cruyff ha smesso davvero. Sceneggiato e perfetto. Beckenbauer invece ha un ritratto di schiena, i ricci e la sua mano da cui pende la numero sei. Erano anni in cui si voleva portare via qualcosa, oggi è meglio uscire leggeri dopo aver gestito dosi massicce di sentimenti smodati.
Chiellini ci mette una faccia, però non è la sua, è l'emoji triste che sta lì fare da argine a reazioni ben più strutturate. E private. Eppure un istante di condivisione serve per il cambio di dimensione. Dall'applauso da star al trasloco, quanto di più banale e vulnerabile esista.