Massimiliano Gallo per ilnapolista.it
Come al solito in Italia si comincia col mormorio. Ed è un passaparola strisciante quello che da settimane percorre con preoccupazione i vertici della Serie A e dei venti club. Le società convivono con il timore che Dazn, in un futuro neanche così lontano, possa non essere più in grado di onorare il contratto quinquennale firmato un anno fa (ottobre 2023). Contratto da 900 milioni di euro a stagione: 700 da Dazn e 200 da Sky.
Al momento è un mormorio, seppure insistente, anche perché il contratto sottoscritto con Dazn Italia prevede ampie garanzie (anche della casa madre di Dazn, pare). Ma la tensione c’è. Basta guardarsi attorno per comprendere che il business diritti tv è in crisi. In Francia le prime giornate del campionato sono state giocate senza assegnazione dei diritti tv. In Germania la vicenda è diventata materia processuale: la Bundesliga non si fidava di Dazn che ha reagito portandoli in tribunale.
Anche in Italia il barometro non è stabilizzato sull’ottimismo. I dati di ascolto di Dazn sono molto bassi. Nelle scorse settimane si è più volte parlato e scritto di un depauperamento della redazione giornalistica. Marco Cattaneo e Stefano Borghi sono andati via. La trasmissione del lunedì sera di Pardo al momento non è ripartita. Un volto come Montolivo ha traslocato a Sky. Nei corridoi del calcio italiano c’è ansia per la stabilità economica di Dazn Italia. E si pensa al futuro. A come poter ovviare a una eventuale improvvisa emergenza.
Il nuovo pacchetto di diritti tv della Serie è stato assegnato lo scorso anno con 17 voti favorevoli, due contrari (Cagliari e Salernitana) e un astenuto: Aurelio De Laurentiis. Per lui, con un mercato televisivo così magmatico, caratterizzato da continue innovazioni tecnologiche, era stata una follia “impiccarsi” a un contratto di cinque anni.
Col passare del tempo, la sua posizione è diventata meno solitaria. Si è insinuato il dubbio che il detto “pochi maledetti e subito” potesse anche non essere una buona idea. La solidità economica di Dazn Italia sembra scricchiolare e poiché il calcio è un’azienda, è ovvio che i dirigenti pensino anche a un futuro alternativo. Soprattutto se la situazione dovesse malauguratamente precipitare.
La principale soluzione resterebbe ovviamente Sky che comunque ha acquistato una fetta di diritti tv della Serie A e, al netto di una felice scelta politica di sfilarsi dall’assoluta dipendenza dal calcio italiano, valuterebbe offerte particolarmente convenienti.
La Serie A alla prova dell’autoproduzione
E poi c’è l’autogestione. O meglio: l’autoproduzione. Vecchio pallino proprio di De Laurentiis. La Serie A non delegherebbe più a nessuno, ma venderebbe direttamente il prodotto a chiunque volesse acquistarlo: tv, giornali, piattaforme. Potrebbe sembrare una soluzione lunare. In realtà oggi in Serie A sono già quattro i club che si autoproducono le partite. E non sono società di poco conto: Juventus, Inter, Milan, e appunto Napoli. Lo scorso anno c’erano anche il Sassuolo (poi retrocesso) e la Roma.
Le altre partite sono prodotte dalla Lega Serie A attraverso una serie di service tra cui il più importante è la Nvp società leader nel settore che è anche quotata in Borsa. In un futuro nemmeno così lontano, si potrebbe ipotizzare l’autoproduzione delle partite e la vendita poi a chiunque ne facesse richiesta. Bypassando la tradizionale vendita dei diritti tv. Non ci sarebbero particolari investimenti da effettuare per le infrastrutture. Resterebbe da coprire la parte giornalistica (telecronista e bordocampisti), più una serie di optional già disponibili come ad esempio la telecamera dedicata a un personaggio, le immagini col drone.
All’estero già funziona così. L’Equipe ad esempio trasmette le partite. Il sistema sarebbe quello cinematografico. Le tv o i giornali che volessero trasmettere le partite, sarebbero equiparate né più né meno alle sale cinematografiche. Tratterebbero una percentuale (attorno al 10%), il resto andrebbe ai produttori ossia ai club.
Le partite come i film. Sarebbe un sistema aperto. Certamente più rischioso, perché di partita in partita dipendente dal mercato. Ma senza la paura che da un momento all’altro crolli tutto. E ci sarebbe il vantaggio di gestire il prodotto in prima persona. Questo invoglierebbe a migliorarlo per poter venderlo a più utenti. Una Serie A più appetibile equivarrebbe a più chance di guadagnare. Con le dovute differenze si entrerebbe in una mentalità da Nba: la cura del prodotto nella sua globalità, perché al fondo converrebbe a tutti.
Sembra un discorso futuristico. In realtà lo è decisamente meno di quanto possiamo immaginare. Il business calcio sta cambiando molto rapidamente e anche i presidenti di Serie A se ne stanno accorgendo.