Andrea Sorrentino e Giulio Cardone per la Repubblica
Che fossimo un popolo di poeti, santi, navigatori e allenatori lo sapevamo bene, e ormai anche gli inglesi si sono dovuti piegare all' evidenza. Basta osservare la storia recente della Premier: se il Chelsea si aggiudicasse il titolo, Antonio Conte sarebbe il quarto italiano in otto edizioni ad alzare al cielo d' Albione la pesantissima Coppa Barclays, un gingillo di 15 chili di metallo placcato in oro fabbricato dalla gioielleria Garrard&Co. di Londra, dopo Ancelotti (2010), Mancini (2012) e Ranieri (2016). Conte si sta dimostrando lo straordinario condottiero di uomini e di calciatori che avevamo visto all' opera alla Juventus e in Nazionale.
Ha rivitalizzato un Chelsea depresso dal decimo posto dell' anno prima, e solo con un paio di novità (il fenomenale Kanté e Marcos Alonso) lo sta guidando con piglio sicuro: a 12 giornate dal termine è primo con 10 punti sul Tottenham e 11 sul City (che deve recuperare il derby con lo United), i 63 punti dopo 26 turni sono 3 in più del Chelsea di Mourinho vincitore due anni fa, delle ultime 20 partite ne ha vinte 17 e pareggiate 2 (sconfitto solo dal Tottenham dopo Capodanno), ha imposto la legge di Stamford Bridge con 12 vittorie consecutive in casa, nuovo record per il club. Salvo cataclismi, o crolli che nessuno sa prevedere, la Premier è sua e l' Inghilterra sarà ai suoi piedi.
Eppure, sia perché l' uomo è insoddisfatto per definizione - pretende da se stesso e dagli altri - sia per una serie di motivazioni profonde, non è detto che Conte il prossimo anno sarà ancora sulla panchina del Chelsea. Di indiscrezioni sull' argomento ne circolano già parecchie, in Inghilterra e non solo.
Primo: non è ben chiaro se Abramovich abbia ancora voglia di investire massicciamente sul Chelsea come in passato, e neppure il tecnico l' ha capito.
Secondo: lassù gli staff tecnici inglesi, come dimostra la vicenda-Ranieri, sono sempre potentissimi, sono il cuore e lo zoccolo duro della squadra soprattutto se il manager viene dall' estero (ogni club ha bisogno di uomini fidati nello spogliatoio per sapere cosa accade), e lo sono anche al Chelsea (non furono affatto estranei agli esoneri di Ancelotti e Mourinho, tanto per citare i migliori), e anche per questo Conte aveva chiesto uno staff di sei uomini "suoi" e invece gliene sono stati concessi solo tre, altro rospo.
Terzo: pare che l' uomo non si trovi esattamente a suo agio, come stile di vita, abitudini e logistica, nella grande Londra, che piace a tanti ma non è l' ideale per tutti, anzi, viverci ogni giorno può essere un problema, perché per vivere bene non contano solo il denaro e le belle case, ci vuole l' alchimia giusta con il luogo. Insomma, Antonio è sulle spine, freme. Interroga se stesso, scruta il futuro, e ripensa all' Italia, anche se ha un contratto fino al 2019 tra l' altro con pesantissima penale (pare intorno ai 30 milioni) in caso di rescissione da parte sua. Per questo in Italia uno come lui non se lo potrebbe permettere quasi nessuno, forse solo il gruppo Suning, ossia l' Inter.
Non a caso quelle serve di radiomercato soffiano da settimane di un misterioso intermediario Suning che avrebbe contattato Conte, e le versioni vanno dal semplice colloquio esplorativo a un principio di accordo a partire dal 1° luglio 2017. Gli interessati smentiscono seccamente, l' Inter anzi si infuria perché non vuole che Pioli venga indebolito in una fase cruciale della stagione. Eppure. Suning vuole solo numeri uno, e Conte lo è di sicuro; Conte è indeciso sul suo futuro e cerca di capire le intenzioni di Abramovich.
Gli garantisse un grande Chelsea futuro, sarebbe un altro discorso e le nostalgie passerebbero. Per ora tutto rimane in sospeso, in un grumo di segretezza e cautele. Ma la suggestione del suo grande ritorno in Italia, magari per dare l' assalto alla Juve proprio dalla sponda interista, darebbe un senso pienissimo alla prossima estate e oltre, oltre l' infinito.