1.GLI 80 ANNI DI DAN PETERSON
Daniele Dallera per il “Corriere della Sera”
Ha appena fatto quattro ore mattutine davanti al computer a scrivere articoli, preparare lezioni pubbliche, aggiornarsi e studiare. Operazione che riprenderà nel pomeriggio e a sera tarda. Più di 15 ore davanti a un computer. La pausa pranzo la dedica a raccontare i suoi 80 anni che saranno battezzati il 9 gennaio: verità, testimonianze, esperienze, giudizi, la vita di Dan Peterson tra basket, televisione, pubblicità, giornalismo, svelate con spontaneità e originalità di pensiero. Al suo fianco la donna della sua vita, Laura Verga, che «risposerò il 7 dicembre del 2017...».
Scusi Dan Peterson, perché risposarsi?
«Primo perché lo vogliamo fare, poi perché dobbiamo mettere un po’ di cose a posto. La prima volta fu nel ’97, appunto il 7 dicembre a Miami, a casa di Bob McAdoo». (Per chi se lo fosse dimenticato, McAdoo è uno dei grandi campioni, per noi il più grande, che Dan ha allenato nella sua carriera di coach).
Partiamo subito Dan, nel suo miglior quintetto di sempre c’è McAdoo?
«Ovviamente. Insieme a Mike D’Antoni, Roberto Premier, Terry Driscoll e Dino Meneghin. Sesto uomo Vittorio Gallinari».
Migliori azzurri?
«D’Antoni, Meneghin, Premier, Bertolotti, Caglieris».
Chi sono i più forti adesso?
«Alla pari ora sono Gentile, Gallinari e Belinelli».
Gli ultimi due giocano nella Nba, insieme a Bargnani. Ce la farà pure Alessandro Gentile?
«Può sicuramente farcela. Ma qui in Italia sa cosa ha...».
Riuscirà a rivincere lo scudetto con l’EA7?
«Sì. La chiave di tutto è il ritorno di Livio Proli, che sta mettendo le cose a posto; e Repesa è un tecnico preparato».
Giorgio Armani segue i suoi consigli?
«Non mi permetterei mai! Lui non è il Numero Uno da 40 anni perché ha avuto bisogno dei consigli degli altri: i veri geni trovano i consigli giusti da soli».
Altro quintetto? Gli americani della sua serie A?
«McAdoo, Carroll, Carr, Schoene, Driscoll, Gianelli: sono 6 e tali devono restare».
Agli ordini, coach. Perché si è messo a fare l’allenatore?
«Semplice, come giocatore ero scarso. Sono sempre stato tagliato dalla squadra del liceo. Ma un giorno, chi mi ha sempre bocciato, mi convoca nel suo ufficio per chiedermi: Dan, lei è al suo ultimo anno di high school, cosa farà all’università? Gli confidai le mie incertezze. Il mio capo allenatore, Jack Burmaster di Evanston high school, mi disse: “Lei ha le qualità per fare il coach di basket”. Fu convincente».
Quali sono queste qualità?
«È una figura complessa. La mia seconda laurea è in amministrazione sportiva. Un grande docente, Paul Hunsicker, mi ha insegnato che in un milionesimo di secondo devi essere pronto a licenziare decine di persone. Non lo farai, troverai un’altra soluzione, ma devi essere pronto a fare la scelta più difficile e delicata in un milionesimo di secondo».
Allenatore, telecronista, show e spot man, conferenziere, una vita piena.
«Sì, ma piacevole. E sa perché? Non ho mai considerato tutto questo un lavoro. Amandolo, ho sempre fatto quello che mi piaceva... Ma con grande professionalità».
Nel 1987, a 51 anni, smette di allenare e si dedica ai mille al tri impegni della sua vita, dalla Tv al giornalismo, passando per lo spettacolo. Poi nel 2011 viene richiamato dall’Olimpia Milano, ma non andò benissimo. Non smise troppo presto all’epoca?
«Fu un grave errore».
Indotto da cosa?
«Non sopportavo la sconfitta. Il dover vincere a tutti i costi, questa è la missione dell’allenatore. Stavo male... Quanto al mio ritorno nel 2011, è stata la più grande gioia della mia vita. Ho amato quella squadra, poi abbiamo fatto quello che potevamo fare».
Intervengono una voce e un sorriso, sono di Donna Laura: «Dan, lo stress lo tiene tutto dentro, quindi sta peggio. Le conosco io le notti insonni, le ulcere sofferte. Da venti siamo sposati, ma è da 30 anni che stiamo insieme... (Ehi, mi ha conosciuto in via Montenapoleone 5, mica alla mutua)».
Dan Peterson, quanto sono state importanti le donne nella sua vita?
«Fondamentali. Ragionano più degli uomini, abituati a gettarsi; le donne sono invece maggiormente riflessive, portate al sacrificio, molto più professionali di noi».
D’accordo. Ma chi è stata la donna più importante?
«Mia madre Lillian. Mi ha preparato alla scuola, mi ha indirizzato al dovere, mi ha preso per mano e condotto verso l’arte, oh lei amava l’arte, e le scienze».
Suo padre, un poliziotto, lui era severo...
«No, era esigente. Come me. E poi era appassionato di sport: nuotava nel lago Michigan, ha gareggiato con Johnny Weissmuller, il Tarzan del cinema».
Perché lei è venuto a vivere e a lavorare in Italia?
«Con gli Usa, il mio Paese, è il migliore in cui vivere. Per me fu fondamentale prima dell’Italia, prima di Bologna, l’esperienza di due anni in Cile. Arrivai a Bologna, padrone dello spagnolo, di una lingua latina che mi permise di avvicinarmi preparato all’italiano. L’Italia ha tre fondamentali qualità: storia, cultura e bellezza naturale. E poi si “magna ben”, i francesi stiano zitti».
Ha inventato da telecronista un linguaggio, tutto suo, di grande successo. Perché non la chiamano più i grandi network?
«Io lavoro ancora, nel canale Tv Olimpia Milano. Abbiamo un nostro seguito...».
Ok, Dan, ma qui si intende la «sua» Mediaset, Sky, Rai, La7... Lei può essere ancora d’aiuto ai telecronisti.
«Evidentemente vogliono fare da soli».
Gelosia oppure paura del mostro sacro?
«Penso sia amor proprio e, ripeto, voglia di far da soli».
Qual è il miglior quintetto della sua tv?
«Mike Bongiorno numero 1, insuperabile. Gerry Scotti, colonna vertebrale di Canale 5. Paolo Bonolis, genio della lingua italiana. Maria De Filippi, maestra della conduzione. Carlo Conti, presentatore a 360 gradi. Super».
Mike Bongiorno e SIlvio Berlusconi negli anni 80
Andrà a votare alle prossime elezioni americane? Repubblicano o democratico?
«Sono sempre stato un indipendente. Per ora non vedo grandi candidature».
Cosa pensa di Obama?
«Un peso piuma. Parla molto, fa poco».
Cosa farà Dan Peterson nei suoi prossimi 80 anni, oltre a sposarsi?
«Scriverò articoli per la Gazzetta dello Sport, farò telecronache, pubblicherò libri - uno sulla mentalità vincente -, terrò conferenze sul “team building”. E collaborerò con l’Olimpia Milano. Farò quello che mi piace...»
2. COSA RESTERA’ DI QUESTI ANNI ’80? SICURAMENTE DAN PETERSON
Francesco Persili per Dagospia
Tutto nasce quel 6 novembre 1986. La notte della rimonta fe-no-me-na-le della Tracer Milano contro l’Aris di Salonicco nella stagione del triplete delle “scarpette rosse”. Galis e Yannakis, due eroi omerici prestati al basket, spazzati via da McAdoo e compagni. Un ricordo incancellabile che oggi i filmati su YouTube non riescono a restituire fino in fondo. La tensione che divora le facce, le mani dei greci che diventano di pietra, il miracolo che si compie quando Mike d’Antoni diventa un folletto imprendibile in un PalaTrussardi in estasi.
Se in Italia molte persone nate negli anni ’70 amano la pallacanestro la colpa è soprattutto di quel piccolo grande coach: Dan Peterson, da Evanston, Illinois, demiurgo dell’Olimpia Milano campione di tutto. Sui social impazzano frasi (“Mai sanguinare davanti agli squali”), modi di dire (“Mamma, butta la pasta”) e neologismi immaginifici coniati dal “Nano Ghiacciato” (anche se il “gancio cielo” per Jabbar fu inventato da un suo amico del liceo). L’Italia dei canestri lo celebra per i suoi 80 anni che lui festeggerà domani su una panchina (e dove se no?).
altro tiro altro giro altro regalo cover libro Tranquillo
A Trento guiderà una delle due squadre in campo per l’All Star Game. Dall’altra parte ci sarà il suo grande rivale, Valerio Bianchini, il Vate che ha scritto le pagine più gloriose del basket romano. Cosa resterà di questi anni ’80? Sicuramente la rivalità Milano-Roma sotto canestro, e le schermaglie dialettiche tra Peterson e Bianchini, ancora oggi fra i migliori ambasciatori del movimento cestistico italiano. Due maestri abili anche nel giocare con le parole che hanno saputo irrorare il gioco inventato da Naismith di semplicità e proiezioni letterarie, filosofia ed epos comunicativo fino a renderlo parte integrante della cultura popolare del nostro Paese.
E pensare che quando Dan Peterson arrivò in Italia si pensò che fosse una spia della Cia: solo perché aveva allenato la nazionale cilena ed era arrivato a Bologna qualche settimana prima del golpe di Pinochet. Una storia talmente bislacca che poteva andar bene per la fiction. E, infatti, il coach americano ha recitato un ruolo da 007 nella serie de “L’Ispettore Coliandro”.
Nella società dello spettacolo “mister cinque scudetti” è stato un protagonista di prima fila come testimonial della nota marca di tè Lipton («per me numero uno») e come commentatore principe del Biscione: il basket Nba, il wrestling, l’America nel salotto di casa.
Insieme a quello di Aldo Giordani il magistero di Dan Peterson ha segnato un capitolo fondamentale nella formazione dei nuovi Pindaro del racconto sportivo. Flavio Tranquillo, il George Lucas delle telecronache di basket su Sky, ha ricordato nel suo libro (“Altro tiro, altro giro, altro regalo”) i tragitti in macchina col Coach «ognuno dei quali equivaleva a un Dottorato di ricerca cestistico».
Talento multiforme, la sua ironia non è sfuggita a Fabio Fazio che lo ha trasformato in una star del varietà sportivo ai tempi di “Quelli che..” (memorabili i duetti con Don Lurio). Il look da rocker, capelli lunghi e pantaloni a zampa di elefante, con cui si presentò a Bologna, non tragga in inganno: negli spogliatoi era un dominus dal pugno di ferro.
Concetti semplici e carisma da vendere: una via di mezzo tra Phil Jackson e Winston Churchill. Motivatore e comunicatore senza eguali. Il suo genio ha folgorato anche Silvio Berlusconi che lo avrebbe voluto sulla panchina del Milan dopo Liedholm. In effetti, la sua zona 1-3-1 sta al basket come il 4-4-2 di Sacchi al calcio. Anche Dan, come Arrigo, ha mollato la panchina troppo presto divorato dallo stress. Ma è uscito di scena all’apice del successo lasciando nel cuore di molti baskettari una traccia di emozioni irripetibili, frasi scolpite, sorrisi e buon umore anni ‘80. Saremo sempre nani sulle spalle del “gigante” Dan Peterson: “mmmh, mmmh, per me numero 1”.