Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”
Come spesso succede in Germania, ogni aspetto è stato pianificato fin nei dettagli. Il numero dei tamponi necessari, i protocolli da seguire in caso di calciatori positivi al Covid-19, gli accordi con le emittenti per i diritti televisivi, perfino le cose più bizzarre come l' offerta del Borussia Moenchengladbach ai suoi tifosi di personalizzare con le loro foto delle sagome di cartone in grandezza naturale, che poi saranno piazzate sugli spalti vuoti.
Ma il destino della Bundesliga, la massima divisione tedesca pronta a ricominciare il campionato a porte chiuse il 9 maggio prossimo, rimane sulle ginocchia della politica.
Sarà infatti la conferenza tra la cancelliera Merkel e i premier dei sedici Laender federali, il 30 aprile, a decidere se il calcio tornerà a consolare il Paese profondo, prostrato dalla pandemia.
Una cosa però salta subito agli occhi, ancor prima di entrare nel merito della scelta.
Mentre in Italia il futuro della Serie A rimane ostaggio di una invereconda rissa di tutti contro tutti - club, Lega, Federcalcio, Associazione calciatori e non ultimo il governo -, in Germania il mondo del Fussball un' idea condivisa e coerente ce l' ha. E anche suscitando polemiche, nel rispetto dei ruoli la propone ai policy maker perché decidano.
Tant' è. «La Bundesliga è pronta per ricominciare il 9 o più tardi. Ma scegliere la data non è il nostro lavoro, è compito della politica», ha detto ieri Christian Seifert, presidente della Dfl, la Lega calcio tedesca, al termine dell' assemblea in videoconferenza con i capi delle società. Alle critiche sollevate contro la fretta e i rischi di tornare a giocare, Seifert ha risposto che «la Dfl è un' azienda che soffre come le altre delle conseguenze del coronavirus» e come tale «vuole riprendere e prima o poi dovrà riprendere l' attività».
Quando Seifert dichiara «pronta» la Lega tedesca, sa di cosa parla. Ogni particolare è stato messo nero su bianco in un documento di 41 pagine, preparato da una task force di medici dello sport, virologi e igienisti, guidata dal medico della nazionale Tim Meyer. Il Konzept è molto rigoroso: tetto massimo di 300 persone per partita allo stadio tra calciatori, assistenti, arbitri, dirigenti, personale sanitario, addetti alla sicurezza, fotografi, raccattapalle e quant' altro. I giocatori dovranno sottoporsi a tampone e a un test sugli anticorpi ogni tre giorni. Questo comporterà, secondo le stime, un totale di 25 mila test fino alla fine della stagione, tenendo conto che ci sono ancora 9 turni da giocare.
Anche l' aspetto economico è stato messo in sicurezza. Le reti hanno infatti assicurato il pagamento dell' ultima tranche dei diritti televisivi per un totale di circa 300 milioni di euro, che garantiscono la liquidità dei club fino al 30 giugno: per molti significa evitare almeno per ora il fallimento.
Intanto le squadre hanno ripreso gli allenamenti.
Ognuno con le proprie precauzioni, come la suddivisione dei calciatori in piccoli gruppi, con divieto di contatti fra di loro, orari e campi differenziati, pasti individuali consegnati in scatole da consumarsi a casa e, nel caso del Borussia Dortmund, niente uso di spogliatoi e docce.
Eppure, tanta «Gruendlichkeit», scrupolosità, non evita polemiche e dure critiche alla Dfl. Il Paese è spaccato. Giusta una rilevazione Infratest Dimap, solo il 50% dei tedeschi è d' accordo a far ripartire il campionato. La protesta più inattesa viene dagli ultrà di tutti i club, per una volta uniti in una dichiarazione comune, che definisce l' eventuale prosecuzione della stagione calcistica «un chiaro affronto verso il resto della società e soprattutto verso coloro che sono impegnati nella lotta al coronavirus». Chiudere qui il campionato, secondo loro, non «dev' essere un tabù».