Playing this on repeat. ??? @ErlingHaaland x @ChampionsLeague pic.twitter.com/jHJwsYTaK1
— City Xtra (@City_Xtra) September 15, 2022
Giulia Zonca per la Stampa
Il gol somiglia a quello di Cruyff ma Erling Haaland non ricorda nessuno. Non ha nemmeno l'aspetto del calciatore, è un ufo in campo e il fatto che una sua rete ne evochi una famosissima segnata nel 1973, 49 anni fa, sottolinea solo la sua capacità di fare quello che nessuno si aspetta, quello che non abbiamo mai visto. Persino una rete vintage.
Contro il Borussia Dortmund, da ex, Haaland arriva a quota 26 gol in Champions, quanti Suarez e lui ha 22 anni e ha appena iniziato a stare in una squadra che vuole vincere il trofeo. Haaland firma un colpo alla Ibrahimovic e nell'inutile gioco dei confronti è probabilmente quello il nome che salta fuori, ma come Cruyff ha sfidato le gravità per fame, non per sfoggiare una qualità.
Ibra allena il fisico alle arti marziali e le corteggia, se intravede l'occasione di mostrare una mossa plastica lo fa, Haaland cerca il gol, sempre e ha un cervello tarato sul suo desiderio costante, sulla priorità assoluta: andare in porta, comunque, in qualsiasi modo, contro ogni avversario. Tredici reti in otto partite con il City, in un mese di Manchester e qui partono altri paragoni. Con i numeri.
Anno di grazia di Messi (uno dei tanti, ma il più prolifico), nella stagione 2011-2012, con 50 gol. Guardiola, proprio lui, l'attuale tecnico di Haaland, commenta la cifra spropositata così: «Auguri a chi proverà a batterlo». Probabile che all'epoca si riferisse a Ronaldo e, in effetti, CR7 nel 2014-2015 ne piazza 48, però ora quella profezia suona ironica. L'allenatore potrebbe già trovarsi di fronte a chi sa come andare oltre ed è un uomo che non ha nessuna attinenza con il suo calcio e che lui ha stra voluto.
Anni a costruire gioco per falsi nove, a ignorare il ruolo salvifico della punta pura, a lasciar trapelare un certo fastidio, quasi una forma di disgusto, verso chi se ne sta in disparte e poi sbuca all'improvviso per il colpo che resta. Anni a ignorare tutti quelli con le caratteristiche del bomber classico, a lasciare in panchina Ibra, al Barcellona. E poi, quando parte la riffa per il calciatore che più segna in Europa, lui si sbraccia. Lui lo vuole. E ha ragione. In parte tradisce il suo credo e in parte accetta l'anomalia. Perché Haaland passa intere partite senza entrare in un'azione e poi decide la sfide però lo fa in un modo inedito.
Messi è un mago eppure appartiene a una distinta famiglia di rari fuoriclasse, come Maradona. Esiste un microcosmo che lo comprende. Haaland non ha parentele calcistiche: non ha solo un repertorio, ha l'intero catalogo di qualsiasi marcatura sia passata nella storia. Non è il massimo sui colpi di testa e forse proprio per questo si allunga e sgamba, per non lasciare possibili tiri a vuoto.
Mai. È il fenomeno del momento e non ha sponsor, si lascia blandire da Nike, Adidas e Puma, fa ruotare le loro scarpe e prende tempo. Oltre a prenderli pure lievemente in giro. Ha scelto il Manchester City perché era «la squadra a cui più serve un 9». E non lo aveva mai voluto da quando c'è Pep in panchina, solo che Haaland non è «un 9» è il 9 che non si è mai visto.
erling haaland erling haaland manchester city 2 erling haaland manchester city 1 erling haaland 2