Giacomo Amadori per "la Verità"
Al termine dei Giochi olimpici di Tokyo l'Italia ha conquistato 40 medaglie (10 ori, 10 argenti e 20 bronzi), un record assoluto per il nostro Paese. Quaranta su 1.080, ovvero il 3,7% del totale, mentre gli azzurri rappresentavano il 3,37% degli atleti (384 su 11.363).
A Rio, nel 2016, avevamo vinto 8 ori e 28 medaglie su 974, guadagnando quindi il 2,87% degli allori con una delegazione di atleti che rappresentava il 2,77% del totale (314 su 11.303). Non collezionavamo così tanti primi posti da Atene 2004, anche se in questa speciale classifica siamo scesi in decima posizione, dopo aver ballato, nelle ultime tre edizioni, sempre tra l'ottavo e il nono posto, seppur con 8 «soli» ori.
MARCELL JACOBS GIANMARCO TAMBERI GIOVANNI MALAGO
Avevamo raggiunto una percentuale più alta di podi complessivi ad Atlanta 1996: il 4,16% del totale rispetto a un 3,29% di atleti. Molto bene anche Sydney nel 2000, con il 3,67%, grazie a 34 medaglie, di cui 13 d'oro. Ma lì schieravamo il 5,3% di sportivi in gara. Pure ad Atene, Pechino e Londra la percentuale dei partecipanti è stata superiore a quella delle medaglie.
Dunque nel 2021 abbiamo ottenuto il maggior numero di medaglie di sempre e siamo andati meglio delle ultime otto olimpiadi a livello di percentuale di premi. Solo a Los Angeles 1984, quando non parteciparono i Paesi del blocco sovietico, riuscimmo a fregiarci di ben 14 ori e 32 medaglie su 688: quinto posto generale e 4,6% di allori.
Numeri paragonabili solo con Roma 1960 (terzi con 13 ori e 36 medaglie su 461 - 7,8% -) e Los Angeles 1932 (secondo posto dopo gli Usa, 12 ori e 36 medaglie su 346 -10,4% -). Alcune classifiche internazionali spiegano meglio del semplice ranking basato sulle medaglie d'oro il valore della performance dell'Italia.
Come numero di medaglie complessivo a Tokyo siamo entrati nel G7, alle spalle di Usa, Cina, Russia, Gran Bretagna, Giappone e Australia. Comparando i podi alla popolazione, schizziamo al quarto posto dietro a Paesi bassi, Australia e Gran Bretagna e davanti alla Francia.
Se invece si raffrontano gli allori al Pil, ci supera la Russia, facendoci scivolare al quinto posto. Risultato comunque eccellente.Un successo che abbiamo deciso di approfondire con Carlo Mornati, quarantanovenne lecchese, il capo delegazione del Team Italia, già medaglia d'argento olimpico di canottaggio nel 2000.
Come mai, in ogni classifica, siamo finiti sotto Paesi bassi, Gran Bretagna e Australia?
«Non ho ancora fatto un'analisi degli altri, ma per esempio l'Olanda non è un modello per noi perché si concentra solo su alcune discipline, come il ciclismo, e prende tante medaglie in quelle. Australia e Gran Bretagna portano avanti la stessa filosofia.
Noi siamo molto più trasversali: cerchiamo di portare avanti più discipline possibili, tanto che in Giappone eravamo presenti in 42 su 50 e siamo andati a medaglia in 19. Siamo un Paese che ha un approccio completamente diverso rispetto a olandesi inglesi o australiani».
Nessuno di questi Stati è un punto di riferimento per noi?
«No, noi abbiamo un modello che dipende dalla cultura del Paese, che non prevede lo sport a scuola: cerchiamo di mantenere vive le realtà sportive che ci sono sul nostro territorio. In altri Stati, il sistema sportivo coincide con il sistema scolastico».
Come in Australia e Gran Bretagna?
«Lì i ragazzi scelgono negli istituti che disciplina praticare e portare avanti a livello agonistico. Conosco bene la realtà australiana perché l'ho vissuta per due anni: i bambini alle elementari iniziano a praticare tre sport estivi e tre invernali.
Da noi lo sport a scuola non esiste: per questo andiamo come comitato olimpico, ossia come confederazione di federazioni, a tutelare la realtà culturale di ogni porzione geografica. Abbiamo delle enclave che sosteniamo. Lo slittino, per esempio, si fa tutto tra due paesi dell'Alto Adige, il taekwondo nasce in Puglia ed è quasi tutto concentrato lì. Questo è il nostro sistema».
Un federalismo sportivo?
MARCELL JACOBS ESEOSA DESALU LORENZO PATTA FILIPPO TORTU ORO NELLA 4X100
«Siamo il Paese dei mille campanili. Esiste un regionalismo, una realtà molto localizzata: facciamo sport a livello territoriale. Andiamo a tutelare il lavoro delle singole associazioni e federazioni sportive. Ovviamente al Nord sono più orientati alle discipline invernali e al Sud ci sono nicchie come il taekwondo».
Esistono Paesi «trasversali» come noi dal punto di vista sportivo?
«La Germania come impostazione ci assomiglia. Anche se ha quasi 90 milioni di abitanti, contro i nostri 60. Più che considerarli punto di riferimento, forse, sarebbe bello poterli avvicinare, o magari superare».
Francia e Spagna?
«Quest' ultima storicamente va molto forte negli sport di squadra, anche se ultimamente sta patendo una sorta di crisi. La Francia è nostra cugina: ci confrontiamo molto con loro. Sono i più simili a noi, anche se sono meglio organizzati a livello scolastico».
Nel 2024 le Olimpiadi saranno a Parigi. Riusciremo a superare le 40 medaglie?
«Bisogna essere realisti. Nelle ultime tre-quattro edizioni ne avevamo portate a casa quasi sempre 28. Ci troviamo di fronte a un exploit frutto di un lavoro pianificato tra Coni e federazioni e abbiamo fatto qualcosa di più unico che raro. Il record risaliva al 1960, quando abbiamo ospitato le Olimpiadi, e al 1932. Perciò godiamoci queste 40 medaglie».
Quante ne avevate previste?
«In una proiezione che avevamo fatto sulla base delle competizioni negli ultimi quattro anni avevamo calcolato che potessero arrivare 47 medaglie: 9 d'oro, 16 d'argento e 22 di bronzo. Ci siamo andati vicini.
Ma fare queste previsioni è impossibile perché ci sono sport di "prestazione", legati al tempo (per esempio la corsa, in cui l'atleta conosce il proprio record personale), e altri di "situazione", con molte più variabili, come gli sport di contatto o i giochi come il calcio».
Tra questi c'è anche la scherma. Avevate calcolato, sulla base dei risultati alle precedenti Olimpiadi, valesse cinque medaglie, di cui alcune d'oro, e, invece, ne sono arrivate sì cinque, ma nessuna del materiale più prezioso.
«Questa disciplina è stata storicamente un polmone di ori e, obiettivamente, ha mostrato penombre. Sono certo che ci sarà un ripensamento. Hanno portato a Tokyo atleti al vertice del ranking che hanno fatto meno bene del previsto».
Delle 47 medaglie previste quali erano le più sicure?
«La vela e Luigi Busà nel karate, per la continuità che avevano dato nel quadriennio di avvicinamento. Se uno vince tre mondiali di fila in tre anni differenti è molto più papabile di uno che ha vinto una sola volta per il rotto della cuffia».
Altri favoritissimi che hanno mancato per motivi diversi l'appuntamento con l'oro?
«Nel nuoto, per i risultati realizzati in vasca, Gregorio Paltrinieri e Simona Quadarella. Ma c'erano buone sensazioni anche per gli sport di squadra: pallavolo femminile e pallanuoto maschile».
Nel canottaggio, il suo sport, aveva previsto l'oro di Francesca Cesarini e Valentina Rodini?
«Sinceramente no. Ero più sicuro della vittoria del quattro di coppia maschile che, però, ha avuto grossi problemi in finale ed è arrivato quinto».
Veniamo al contributo che il Coni ha dato alle dieci medaglie d'oro
«Nell'atletica abbiamo messo a disposizione di Paolo Camossi, il tecnico di Marcell Jacobs (neo campione sui 100 metri, ndr) lo scudo che consente di correre in allenamento riducendo la resistenza aerodinamica.
Hanno utilizzato anche il pool di ingegneri del nostro Istituto di scienza dello sport per fare il check del gesto e della performance dell'atleta con l'ausilio di barre optoelettroniche che misurano la velocità da bordo pista, e telecamere ad hoc. Abbiamo sfruttato la strumentazione tecnologica anche per monitorare i ragazzi della 4x100, con sedute di videoanalisi».
Federica Cesarini Valentina Rodini
Tutto questo è servito a far vincere i nostri sprinter?
«Questo lo deve chiedere agli allenatori. Il Coni non vuole il merito delle medaglie. Il nostro ruolo è di sostegno a chi le deve conquistare. Ci sono comitati olimpici che non lo fanno, noi abbiamo un Istituto di scienza dello sport e un Istituto di medicina che supportano le federazioni, abbiamo dei centri di preparazione olimpica, con palestre e piscine attrezzate che mettiamo a disposizione delle federazioni e dove si è allenato, per esempio, Vito Dell'Aquila, l'oro del taekwondo».
MARCELL JACOBS INSEGUE UN'AUTO
Chi altro ha usufruito delle vostre strutture?
«Gianmarco Tamberi. Il padre-allenatore Marco e il figlio venivano a Formia e facevamo con loro tutto lo studio cinematico del salto tramite l'analisi 3D, scomponendolo in frame. Così potevano vedere come metteva il piede d'appoggio, mentre le pedane biometriche misuravano la potenza che sprigionava durante lo stacco. In base a questi dati poi orientavano l'allenamento».
GIANMARCO TAMBERI E MARCELL JACOBS
E i marciatori?
«Nel 2019 hanno fatto uno studio congiunto con noi sull'acclimatamento. Visto che questa disciplina comporta un grandissimo dispendio energetico e le condizioni erano tremende a causa dell'umidità, due anni fa abbiamo mandato le nostre due medaglie d'oro e altri tre marciatori in Giappone e lì hanno studiato, attraverso alcuni test metabolici, la capacità di adattamento al caldo e al fuso orario allenandosi nello stesso periodo dell'anno e negli stessi luoghi in cui si sarebbero svolte le gare olimpiche».
Nella vela che contributo avete dato?
«Il Nacra è una barca acrobatica che "vola" sui foil studiati dal nostro Istituto di scienza».E con i campioni del ciclismo che cosa avete fatto?«Abbiamo lavorato nella galleria del vento insieme al Politecnico di Milano per ottimizzare l'impatto aerodinamico della posizione dell'atleta e dell'attrezzatura (manubrio, casco, tessuto della tuta), sia del singolo che del quartetto schierato».
Al «suo» canottaggio che aiuto avete dato?
«Abbiamo fatto fare test sul metabolismo, in particolare sul consumo di acido lattico, e un'analisi del gesto. Sono stati valutati anche dati di potenza e velocità della barca».
Che cosa farete al ritorno in Italia?
«Le vacanze. Poi ci concentreremo sulle Olimpiadi invernali di Pechino di inizio 2022. La prima cosa che faremo sarà studiare le regole di ingaggio legate al Covid».