Da gazzetta.it
E sono 15! Il Real Madrid batte 2-0 il Borussia Dortmund nella finale di Champions League a Londra e alza per la quindicesima volta il trofeo più ambito. Gli spagnoli soffrono a lungo il gioco dei tedeschi, che giocano meglio nel primo tempo e hanno diverse occasioni (il palo di Fullkrug la più clamorosa). Nella ripresa però viene fuori il Real: colpo di testa di Carvajal e raddoppio di Vinicius.
ANCELOTTI, RE DI CHAMPIONS
Francesco Persili per Dagospia
L’uomo delle finali. Ancelotti sa come si fa. È il tecnico italiano con più titoli: 28 trofei (29, se si considera pure la Coppa Intertoto) con 7 Coppe dei Campioni, di cui 5 da allenatore. “È il miglior allenatore del mondo”, certifica “Don” Fabio Capello.
Dopo le coppe vinte col Milan, nella sua esperienza sulla panca del Real Madrid "Carlo Magno" ha messo nel sacco due mostri sacri: Simeone e Klopp. E ora anche il Borussia Dortmund di Terzic, prima squadra per palloni recuperati in questa Champions.
"È molto importante continuare a imparare perché la vita cambia e il calcio cambia, ed è fondamentale tenersi aggiornati”, ha spiegato Carletto. E’ cambiato da quando allenava il Parma e disse no a Roberto Baggio perché non voleva il trequartista (qui l'intervista di Fabio Caressa a Ivan Zazzaroni in cui il direttore del Corriere dello Sport ricorda come andò tra il tecnico di Reggiolo e il Divin Codino https://www.youtube.com/watch?v=o7TC6_QgUyg ).
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Con i fantasisti poi Ancelotti ci andrà a nozze. L’albero di Natale lanciato contro il Deportivo La Coruna nel 2002 diventa il marchio di uno stile vincente. Grandi calciatori che si sacrificano nell’interesse collettivo. La ricetta di Mister Wolf applicata al calcio. Carletto risolve problemi e conquista la prima Champions da allenatore.
C'è un'altra vittoria conficcata nella memoria: ri-vedere per credere. 2 maggio 2007, il Milan contro il Manchester United a San Siro. Ci si gioca la finale. Per i rossoneri sarebbe la rivincita contro il Liverpool dopo la beffa di Istanbul. Altro giro, altro ‘albero di Natale'. Con Kakà e Seedorf dietro Inzaghi. Pressing, raddoppi, ripartenze. La Partita perfetta, il check-in per la rivincita di Atene e la convinzione che il calcio, quando è giocato bene, rende migliore la vita.
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Liedholm, mentore calcistico di Ancelotti, diceva: “L'allenatore? Il più bel mestiere del mondo. Peccato, ci siano le partite”. Troppo stress. Il motivo per cui al termine della stagione 1995/96, dopo aver riportato la Reggiana in serie A, Ancelotti aveva deciso: “Tre anni e smetto. Vabbè, arriviamo al 2000, facciamo cifra tonda”. Ha cambiato idea anche su questo, “Tranquillotti”.
È entrato nella sala dei trofei del Real Madrid ha visto quelle nove coppe, tutte insieme, l'una dopo l'altra. “Belle, bellissime ma ne manca...una”. Una per fare cifra tonda. La Decima, arrivata ai supplementari, grazie a Ramos contro l’Atletico, nel 2014. “Se proponessi quello che facevo 20 anni fa come allenatore, tutti mi prenderebbero per pazzo perché bisogna stare al passo con i tempi". Se hai Modric e Vinicius jr poi sei già a metà del lavoro. La trappola contro il "gegenpressing" di Klopp scatta a Parigi nel 2022. Un’altra finale vinta, di corto muso, contro il Liverpool.
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I pasdaran del giochismo arricciano il nasino. “Il Real vince ma non gioca bene”. Ma che vor dì? “Non ha senso, se hai vinto significa che hai giocato meglio degli altri”, spiega il pragmatico Carletto: “La squadra deve avere un'identità, non una sola, ma più di una”. Il calcio “fluido” elevato a potenza.
Anche se non lo sentirete mai parlare come fanno oggi i para-guru della panchina di calcio “relazionale e associativo”. “Adesso tutti parlano di partire da dietro, ma se hai difensori, come si dice in Italia, con il piede quadrato, la soluzione migliore è giocare il più presto possibile nel campo avversario, con palla lunga".
Realismo e piedi per terra, l’equilibrio sempre come stella polare. E pensare che non era iniziata bene per Carletto la storia con la Coppa dalle grandi orecchie.
Il 30 maggio 1984, Roma-Liverpool, finale persa dai giallorossi ai rigori, Ancelotti non c’era. Era in tribuna con un ginocchio a pezzi ad assistere alla sconfitta dei compagni.
Si è rifatto con gli interessi, Carletto, e ora è lì, al centro di Wembley, ad alzare ancora una volta la “sua” Coppa. La settima per lui, il re di Champions. "Non ci si abitua mai. Il sogno continua. Ma qual è il segreto del successo? "Avere una squadra di buoni giocatori e un grande club alle spalle. Io faccio quello che posso..."
Ps: Avvisate Gasperini, che lo affronterà con l’Atalanta in Supercoppa: il Real non perde una finale dal 1981…
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