“DIVENTERO’IL MIGLIORE” - MICHAEL JORDAN E LA PROFEZIA QUANDO GIOCÒ A TRIESTE NEL 1985 (ROMPENDO UN TABELLONE CON UNA SCHIACCIATA) – NEL 1985 'MJ' GIOCÒ CON LA MAGLIA DELLA STEFANEL UN’ESIBIZIONE ORGANIZZATA DALLA NIKE: DIEDE SPETTACOLO, SEGNO’ 41 PUNTI, MANDÒ IN FRANTUMI IL VETRO: LA NIKE SI ISPIRO' ALL’EPISODIO PER REALIZZARE UN’EDIZIONE LIMITATA DELLA CELEBERRIMA 'AIR JORDAN 1' - DAN PETERSON SI DOMANDO': 'SICURI CHE IL RAGAZZO SIA DI QUESTO PIANETA?' - VIDEO

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Favio Vanetti per corriere.it

 

 

MICHAEL JORDAN A TRIESTE MICHAEL JORDAN A TRIESTE

L’anno prima Michael Jordan aveva vinto il titolo olimpico con gli Usa, dopo aver concluso la sua avventura a North Carolina. Poi in autunno era entrato nella Nba, scelto dai Chicago Bulls, e nelle more di una squadra che non era ancora lo squadrone che avremmo conosciuto più avanti aveva dimostrato che con lui il basket aveva trovato una nuova divinità. In parole povere: MJ nell’estate 1985 era già, fondamentalmente, una stella. E l’Italia ebbe modo di averlo per una manciata di giorni grazie a un tour organizzato dalla Nike, che si era già lanciata in una promozione su scala planetaria del nuovo fuoriclasse.

 

Lunedì 26 agosto, palasport di Trieste. Michael va in campo con la maglia della Stefanel in un’amichevole contro la Juve Caserta. La squadra giuliana era allenata da Santi Puglisi, alla prima esperienza da head coach in serie A, quella campana da Boscia Tanjevic, ovvero colui che giusto un anno dopo sarebbe approdato proprio sulla panchina della formazione quella sera avversaria. Originariamente l’accordo era che Air avrebbe disputato un tempo con Trieste e uno con Caserta. Invece alla fine scelse di giocare tutto l’incontro con la maglia Stefanel, che ovviamente aveva il numero 23 (è un oggetto di culto per chi adesso la possiede): la partita finì 113-112 per Trieste, Jordan segnò 41 punti.

AIR JORDAN AIR JORDAN

 

Ma l’immagine indimenticabile è un’altra, ovvero quella di un balzo fenomenale concluso da una schiacciata «Tomahawk» con cui il giovane asso mandò in frantumi il tabellone: sarebbe stato l’unico fracassato da Michael nella sua carriera e questo accadde anche perché all’epoca la Legabasket, pur avendo fatto adottare ai club il cerchio sganciabile, non aveva ritenuto di introdurre vetri più solidi o infrangibili. Tutti tennero il fiato: la miriade di cocci travolse Pietro Generali e soprattutto l’uruguaiano Tato Lopez, che riportò la lacerazione dei tendini di una mano. Jordan non si fece nulla e fu un mezzo miracolo. Lo fu anche per l’assicurazione che aveva accettato di tutelarlo nel viaggio italiano: copertura da 15 miliardi delle vecchie lire.

MICHAEL JORDAN A TRIESTE MICHAEL JORDAN A TRIESTE

 

Per la cronaca, a memoria della Tomahawk, Jordan e la Nike realizzarono in autunno un’edizione limitata della celeberrima Air Jordan 1 chiamata «Shattered backboard». Colori: il bianco, il nero e l’arancione della Stefanel Trieste con la chicca della tomaia in pelle verniciata e «stropicciata» che dovrebbe richiamare i vetri del tabellone spaccato. Ancora oggi, nelle sue edizioni retro e modificate nelle combinazioni dei tre colori la Shattered Backboard è quotatissima presso i collezionisti.

 

 

MICHAEL JORDAN A TRIESTE MICHAEL JORDAN A TRIESTE

A parte quella schiacciata — della quale ci sono ancora le immagini su Youtube — è curioso ricordare altri momenti dell’incontro ravvicinato tra l’Italia e «His Airness». Jordan si spostò fondamentalmente in elicottero e il giorno stesso del suo arrivo a Malpensa fu portato in Valtellina, a Caspoggio e a Bormio. In quest’ultima località partecipò a un’esibizione, cinque contro cinque, alla quale presero parte, tra gli altri, Mike D’Antoni, Roberto Premier e Oscar Schmidt. Nell’avvicinamento a Trieste ci fu pure una tappa veneziana, con cena alla rinomatissima Colomba, e una mancata partita di golf — era già una sua passione — perché il campo del Lido quel giorno era chiuso. La stampa aveva annunciato in pompa magna il suo avvento e Dan Peterson sulla Gazzetta dello Sport aveva ricordato la famosa frase di Julius Erving, la cui spettacolarità Jordan aveva preso a modello: «Sicuri che quel ragazzo sia del nostro pianeta?».

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