Niccolò Zancan per “la Stampa” - Estratti
Lorenzo Bernardi, incominciamo con una domanda poco simpatica. Dicono di lei: persona chiusa, al limite della freddezza. È vero?
«Sono nato in Trentino. Sono una persona riservata. C'è modo e modo di manifestare le proprie emozioni. Magari rido poco, ma mi diverto dentro».
Lei è stato uno dei giocatori più vincenti della storia del volley, come allenatore è tornato a vincere appena è passato al femminile. Che mondo ha trovato?
«È lo stesso sport, ma cambiano le dinamiche umane. Sono diversi i modi di rapportarsi, ma restano identici gli obiettivi. Da parte delle mie giocatrici ho trovato maggiore disponibilità a mettersi in discussione, a provare cose nuove. Penso che la pallavolo femminile possa migliorare molto e che sia destinata a superare quella maschile. Del resto quasi il 70 per cento dei tesserati della federazione italiana è fatto di donne».
Un'altra differenza fra i due mondi?
«Con le donne maggiore correttezza, meno insulti. Un clima di maggiore sportività».
Come ha affrontato il cambiamento?
«Studiando molto. Preparandomi e leggendo. Chiedendo consiglio a Julio Velasco, esplorando il mondo della Nazionale femminile. Io quando decido di affrontare una sfida non sono uno che butta i dadi».
Con chi si è consultato?
«Con mia moglie e con i miei figli. Sono loro che portano il peso delle mie gioie e delle mie delusioni, anche quello dei miei traslochi. A Piacenza, l'ultima squadra maschile, sono stato esonerato con una telefonata la mattina del 31 dicembre: delusione grande. Ci siamo confrontati in famiglia. Ma loro sanno che se mi metto in testa una cosa alla fine la faccio».
Dopo cinque mesi alla guida della Igor Novara ha vinto una coppa europea. Cosa ha provato?
«È stata una grande soddisfazione».
Essere stato giudicato il miglior giocatore di pallavolo del ventesimo secolo, quanto le serve adesso per allenare?
«Io credo tanto. Per esempio: serve a non irrigidirsi di fronte a un errore banale. Perché io rivedo i miei sbagli, mi ricordo dei miei errori. Quando le mie giocatrici si arrabbiano per una sconfitta, penso alla mia sconfitta olimpica. Aver provato certe dinamiche sulla mia pelle, mi serve adesso per capire le emozioni che provano loro».
Il razzismo è ovunque. Anche nel mondo del volley: a Ravenna insulti dei tifosi contro il centrale nigeriano Martins Arasomwan. Voi parlate di queste cose?
«Sì, capita di parlarne. È una piaga sociale. Io sono convinto che in casi del genere la partita vada sospesa, bisogna dare un segnale forte. Deve essere una regola chiara. Una decisione presa dall'arbitro, non lasciata alle iniziative individuali. Lo sport è il contrario del razzismo. È incontro, è conoscenza».
Paola Egonu è vittima di razzismo. Paola Egonu ha denunciato il generale Vannacci per quella frase tremenda nel suo libro: «I tratti somatici non rappresentano l'italianità». Cosa ne pensa?
«Che ha fatto bene a denunciare tutto quello che la faceva stare male, ha fatto bene a fare valere le proprie ragioni. E penso anche che se uno scrive certe frasi su un libro e poi ottiene molta visibilità, di quelle frasi deve assumersi la responsabilità».
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A proposito di Nazionale. Perché Velasco è Velasco?
«Per la straordinaria capacità di focalizzare la squadra: tutti uniti, con un unico obiettivo, senza dispersioni di energie. Lui è un maestro nel formare un gruppo».
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