Giorgio Terruzzi per corriere.it - Estratti
Sulla tuta aveva scritto «Like a Sir». Per dire, con una ironia sempre pronta, sono un signore, un privilegiato. Una allusione al suo cruccio: correre, occuparsi di moto, cavandosela da solo anche se mamma e papà disponevano di amore, mezzi, e voglia di assisterlo giorno dopo giorno.
Luca Salvadori ce l’aveva fatta, era riuscito a trasformare una passione in un mestiere con le proprie forze. Così, il dolore per la sua morte, ad anni 32, in una gara motociclista a Frohburg, Sassonia, Germania, diventa, se possibile, più acuto. La corsa: su strada. Roba pericolosissima anche a detta di chi in moto rischia da sempre. Campionato International Road Race. Superbike. Il tedesco Didier Grams che cade al primo giro, carambola, Salvadori coinvolto. Le lesioni, gravissime. La morte, poco dopo, in ospedale.
«Ci ha lasciati inseguendo la sua passione» hanno scritto i suoi genitori, Monica e Maurizio Salvadori, che quella passione motoristica condivideva con Luca. Auto, monoposto, patron del team Trident impegnato nelle gare propedeutiche alla F1.
Notissimo nel mondo della musica, manager di molti artisti, organizzatore di grandi concerti, compresi quelli di Jovanotti, che ha inviato alla famiglia un messaggio commosso e commovente. «Luca era un grande pilota, un ragazzo d’oro, l’ho visto nascere… voleva correre prima ancora di stare dritto sulla moto… aveva sempre il sorriso, una gentilezza e una grazia che mi riempiva il cuore. Ci mancherai, ti abbiamo voluto molto bene, io e le mie ragazze».
Gentile, spiritoso, determinato. Era riuscito ad abbinare l’agonismo alla comunicazione. Il suo canale YouTube conta circa 580 mila iscritti, affezionati e coinvolti: «È stato davvero bravo — racconta con emozione Guido Meda — perché oltre a correre, ad andar forte sul bagnato, si era messo a studiare i meccanismi del linguaggio, del web, ed era diventato un vero influencer, competente, capace di coinvolgere soprattutto i giovanissimi. Originalità e indipendenza nelle valutazioni e nei giudizi e poi una faccia tutta simpatia, come se avesse appena combinato un guaio. Gli volevo bene».
Milanese, nato il 2 marzo 1992, aveva iniziato a gareggiare nel 2009, Campionato italiano velocità poi Superstock600, Mondiale Moto E. Sì, ma Luca si era messo in testa di correre il Tourist Trophy, leggendaria gara stradale sull’Isola di Man costellata di incidenti e lutti. Per prepararsi aveva deciso di gareggiare in salita: «Quelli come lui, così trasportati da un fuoco interiore, non li fermi — spiega Ronny Mengo, inviato per Sport Mediaset in Superbike — si mettono in testa una sfida, partono, vanno. I rischi sono evidenti solo per noi che osserviamo questo trasporto». Qualcosa che conoscono bene Valentino Rossi, Pecco Bagnaia, Marc Marquez, Jorge Martin, Loris Capirossi, Max Biaggi che ieri hanno dedicato a Luca pensieri e parole cariche di affetto.
Per il suo ultimo video, aveva raggiunto Misano durante la World Ducati Week. In pista, per alcuni giri insieme con i campioni che più ammirava. Era entusiasta, felicissimo: «La passione è la cosa più importante, il collante che tiene uniti tutti gli appassionati… tutti si sentono di far parte di una grande famiglia. I tre giri che ho fatto con i ragazzi della Superbike e della MotoGp sono valsi tutto l’anno di gare. È stata una emozione unica».
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