Davide Grittani per il "Corriere del Mezzogiorno - edizione Bari" - Estratti
Aspettando nuove e lunghe notti magiche, tra appassionati, addetti ai lavori e tifosi sono in molti a intercettare nel non semplice lessico di Luciano Spalletti le stesse spericolate parabole e metafore di Oronzo Canà, l’allenatore dell’allegra brigata della Longobarda nel film ormai divenuto cult l’Allenatore nel pallone (diretto da Sergio Martino, 1984). «Siamo calvi entrambi – evidenzia Lino Banfi, che quando parla di calcio diventa incontenibile –, entrambi facciamo voli pindarici per dire cose semplici, questo è vero. La prendiamo alla larga, come dicono a Roma. Io nel mio slang, con cui nel film volevo dire che il calcio appartiene davvero a tutti, soprattutto a chi crede di non amarlo e di non esserne contagiato dalla passione.
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Lui nel suo tentativo di elevare concetti semplici, uno sforzo che sinceramente apprezzo molto: perlomeno, in un mondo molto appiattito verso il basso e in un ambiente come quello del pallone in cui la comunicazione molto spesso è meno che basica, Luciano Spalletti è uno che cerca di elevare ragionamenti e conclusioni. Però – ammonisce – le similitudini finiscono qui, perché lui è un grande allenatore e uno straordinario motivatore, un costruttore di gioco come pochi ce ne sono al mondo, mentre io nei panni di Canà ero solo un cialtrone dotato di un po’ di coraggio e forse di tenacia».
Ma lei a quell’amorevole cialtrone deve moltissimo, se non tutto. «Calma, gli devo senza dubbio molto. Ma non esageriamo. Prima dell’Allenatore nel pallone avevo già fatto moltissimi film, compreso Vieni avanti cretino . Che mi dicono essere il film più utilizzato per meme e reel in Italia, questi nuovi codici per trasmettere i nostri stati d’animo sui social».
D’accordo, ma gli italiani nascono poeti, navigatori e… «… E allenatori, lo so. Specie in periodi di competizioni importanti, come quella in corso (gli Europei, ndr)». E che fa, non ce la racconta qualche perla legata al quel film? «Era nata una bella amicizia con Falcao, anche se nel film ne ho un po’ strapazzato il cognome dicendo a un certo punto “Falcao, Falcon, come chezzo si dice”… ». Quindi, che succede? «Che questo ragazzone brasiliano s’innamora della mia famiglia, oltre a fare un po’ il mollicone con mia figlia Rosanna».
Come nel film tra Aristotele e sua figlia Michelina? «Non proprio, nel senso che nella vita reale non successero le cose successe poi nel film». Torniamo a Falcao. «Mi chiede di far invitare a una festa anche un suo carissimo amico, Cerezo: un altro grande calciatore brasiliano della Roma (poi trasferitosi alla Sampdoria, ndr). E di fargli uno scherzo perché lui non conosceva l’italiano».
Cioè? «Mi chiede di fargli salutare tutti col mio intercalare “porca puttena”, facendo credere a Cerezo che si trattasse di un modo italiano di salutare con affetto». Oddio, risultato? «Cerezo, un ragazzo davvero molto gentile, calciatore che voleva mezzo mondo, se ne andò in giro per tutta la serata incontrando persone a lui sconosciute e dicendogli “porca puttena”. Falcao piegato in due dalle risate, mia figlia Rosanna con le lacrime agli occhi, mia moglie Lucia arrabbiata con me che mi ero prestato a questa cosa».
(…) C’è stato anche un momento in cui qualcuno la prese persino sul serio? «Ci furono un po’ di presidenti di squadre minori, soprattutto tra i dilettanti, che in maniera provocatoria e goliardica mi offrirono la panchina delle proprie squadre. Insomma di fare l’allenatore per davvero». E lei come reagì?
«Non scherziamo, se esistesse davvero uno squinternato come Oronzo Canà bisognerebbe bonariamente preoccuparsi. Oddio, con la sua “B Zona” oggi potrebbe addirittura fare scuola ad allenatori blasonati che forse non hanno più niente da dire e non se ne accorgono. Ma Canà appartiene alla mitologia, è un’icona del qualunquismo che diventa talento e del coraggio che proietta le persone oltre ogni limite. Ma se la seconda caratteristica è anche molto positiva, la prima resta un limite invalicabile».
Il 26 ottobre 1984 saranno quarant’anni da l’Allenatore nel pallone , un “film-mondo” come si dice adesso. Un film in cui c’è più sociologia che calcio, più antropologia che commedia. In fondo noi Italiani non siamo cambiati affatto. «Per alcuni aspetti mi faccia aggiungere che, non essere cambiati affatto, è stata la nostra fortuna».
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