Mattia Chiusano per “la Repubblica” - Estratti
«Sono felice». La voce di Marcell Jacobs trasmette energia ritrovata.
È finito l’allenamento all’Hodges Stadium, nel cuore della University of North Florida di Jacksonville, e il campione olimpico dei 100 metri rientra nella casa scelta da sua moglie Nicole nel centro residenziale di Queen’s Harbour, giardini e campi di golf compresi. A scortarlo Andrea Caiaffa, uomo chiave della sua nuova vita americana, chef, autista, factotum.
Un anno fa lo sprinter che ha sconvolto il mondo dopo Usain Bolt lottava e si gasava nel traffico romano, si allenava quasi da solo nella dolcezza malinconica del “Paolo Rosi”, si riconosceva negli insegnamenti di Paolo Camossi con cui aveva condiviso lacrime e due medaglie d’oro olimpiche. Poi, dopo la seconda deludente stagione, la sua vita ha subito un’accelerazione hip hop, sconvolgente: «In confronto lasciare il salto in lungo per passare ai 100 è stato una passeggiata».
MARCELL JACOBS AI CAMPIONATI MONDIALI DI BUDAPEST
Arrivederci Roma, Italia, Europa, Camossi: welcome Rana Reider, guru della velocità che guida un team che sembra un album di figurine dei campioni dell’atletica.
E bentornati States: perché questa proiezione nel futuro, per il bresciano, nato in Texas da un padre poi sparito, è anche un viaggio nel suo Dna mai abbastanza indagato, per non concentrarsi troppo su ferite familiari che in qualche modo il team Jacobs (mamma, moglie, figli, amici, e pure una nonna della Georgia) stanno sanando.
Jacobs, come si trova a Jacksonville?
«Niente male, è una città molto grande ma allo stesso tempo super tranquilla. Non c’è quel caos che puoi trovare a Roma, quel traffico e quel nervosismo. Qui le strade sono grandi, ognuno si fa i fatti suoi, si vive in modo rilassato, e questo porta anche te ad essere più rilassato. Per me è fondamentale riuscire a vivere in un luogo in cui non assorbi tensioni di qualsiasi tipo. C’è sempre il sorriso, la gente è super cordiale».
È in Florida da un mese, ma ha già fatto una full immersion nella vita americana: il Thanksgiving.
«Ci siamo messi anche noi nella modalità americana. Il giorno prima siamo andati a fare la spesa, i supermercati erano assaliti da persone in fila per il giorno del Ringraziamento. Abbiamo passato due orette abbondanti alla ricerca degli ingredienti per poter fare il miglior tacchino possibile, lo abbiamo seguito con attenzione durante le cinque ore di cottura. Abbiamo pure guardato la partita della Nfl. Confesso: ho sgarrato un pochino».
Chi era con lei?
«C’era mia moglie Nicole e Andrea (Caiaffa, ndr ), il “capo chef” che prepara le ricette. L’altro giorno lui e Nicole si sono messi a fare la pasta in casa, per le tagliatelle al ragù: ho pure fatto la scarpetta. Il mio ruolo? Assaggiatore. Sono in ottime mani, stanno per arrivare i miei figli e il quadro sarà completo».
È diventato così americano da cominciare a giocare a golf?
«Qui è molto facile praticarlo, ci sono campi ovunque, pure nel complesso di sei chilometri dove abito. È uno sport che mi ha sempre attirato, ti insegna la pazienza, il colpo forte non ti viene con la forza. Vorrei impararlo, in modo da essere invitato un giorno alla Ryder Cup».
È venuto negli Stati Uniti per cambiare tutta la preparazione: come sta andando?
«Ho cambiato praticamente tutto il mio modo di lavorare. Alla fine degli allenamenti ero distrutto, non vedevo l’ora di tornare a casa, mettermi nel letto e svegliarmi il giorno dopo. Le prime settimane le ho subite abbastanza. All’inizio avevo un po’ di timore, mi sono sempre allenato da solo, non avevo idea di cosa potesse significare farlo con atleti così forti, che soprattutto diventeranno miei avversari quando inizieranno le gare».
PAOLO CAMOSSI E MARCELL JACOBS
Certo a Roma non trovava Andre De Grasse, oro a Tokyo sui 200 e bronzo sui 100, Jerome Blake, oro mondiale della 4x100, Trayvon Bromell, bronzo sui 100 a Eugene 2022, più un plurifinalista iridato come Abdul Hakim Sani Brown. Il Tumbleweed Track Club è un dream team.
«Quando sono arrivato ho scoperto il loro modo di essere: sono i primi a incitarti a dare di più, nonostante sappiano che saremo avversari. Facciamo le ripetute insieme, ci trasciniamo a vicenda, quel che mi è sempre mancato e che ho sempre desiderato. A pensarci, in queste settimane ho affrontato tipologie di lavoro che da solo mai sarei riuscito a concludere. In un gruppo così vedi che non sei l’unico a soffrire, il confronto con gli altri ti porta a spingerti oltre il limite. Eppoi si scherza, non si fatica solo».
Cosa può dire del suo nuovo allenatore Rana Reider?
Marcell Jacobs, Lorenzo Patta, Roberto Rigali e Filippo Tortu staffetta 4x100 uomini
«Mi è piaciuto trovarmi di fronte a un uomo veramente competente, con tanta esperienza. Ogni volta che mi assegna un esercizio non mi spiega solo il movimento, ma anche la motivazione per farlo in un certo modo, e l’influenza che avrà domani sulla mia velocità. In questo modo nella testa automaticamente replichi quella che sarà la gara, attraverso la partenza, la fase centrale. Un genio, tra virgolette, che mi ha illuminato e permesso di vedere gli esercizi in un modo diverso».
Quando ha capito che era finita l’esperienza che l’ha portata all’oro di Tokyo?
«È arrivato tutto molto velocemente, non ci stavo pensando da tempo, sapevo solo che negli ultimi due anni volevo vincere tanto e non ci sono riuscito, stavo perdendo moltissimo tempo. Nello sport non duri in eterno, e io sapevo di avere tutte le caratteristiche per portare a casa grandi risultati.
Alla fine della stagione mi sono guardato allo specchio, ho provato a capire cosa mi potesse mancare. Mi sono reso conto che di fronte a me non avevo più un obiettivo limpido, ma qualcosa che non mi stimolava più, non mi permetteva di andare in pista felice. Era il momento di cambiare qualcosa. Non sono uno che ha paura di buttarsi in nuove esperienze, di ricominciare tutto daccapo. So che il prossimo anno arrivano le Olimpiadi, sono il campione in carica, non posso perdere tempo. Volevo quelle emozioni, quella felicità che ora posso dire di aver ritrovato».
Com’è stata la reazione della famiglia Jacobs?
MARCELL JACOBS AI CAMPIONATI MONDIALI DI BUDAPEST
«Mia madre, mia moglie, i bambini, Andrea, mi hanno detto “se ritieni che sia la cosa giusta, saremo al tuo fianco”. Questo mi ha dato tanta energia. In Italia rientremo a primavera: mi allenerò a Rieti».
Dove nasce la sua fiducia?
«Dal fatto che sono arrivato a 4 centesimi dalla finale mondiale, con soli dieci giorni di allenamento. Quanti ci riuscirebbero? Negli ultimi due anni nessuno ha vinto con un tempo inferiore a 9’’80, il mio crono di Tokyo che posso ripetere».
Merita di fare il portabandiera il campione di una nazione che non aveva mai vinto i 100 alle Olimpiadi?
«Sarebbe qualcosa di incredibile, una seconda vittoria ai Giochi. Ce la giochiamo in tre-quattro, per me sarebbe un onore. Se poi scelgono Tamberi, che ha vinto tutto e se lo merita, mi impegnerò ancora di più per vincere ed essere portabandiera nella prossima Olimpiade».
Sta già pensando a Los Angeles 2028?
«La mia carriera non finisce a Parigi. Ci sono altri due campionati del mondo, un europeo, ho le idee ben chiare su quel che sarà il mio futuro».
A Parigi è attesa anche la vostra staffetta, argento ai Mondiali dietro dietro una super 4x100 americana.
«Quando rinunciavo alle staffette ero costretto dalle mie condizioni fisiche. Fin dal 2017 ho sempre dato la piena disponibilità, mi è dispiaciuto che le mie rinunce siano state viste come una mancanza di volontà. Ma quello che abbiamo fatto a Budapest è stato importantissimo, abbiamo ricordato il lavoro di anni per vincere l’oro di Tokyo, e quanto ancora siamo forti. Possiamo limare qualcosa, soprattutto nei cambi. Sono sicuro che a Parigi entreremo con lo stesso spirito sapendo che siamo i campioni olimpici e potremo ripeterci».
MARCELL JACOBS DIAMOND LEAGUE PARIGI JACOBS rana reider
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