Cosimo Cito per repubblica.it
Il futuro del ciclismo ci esplose davanti agli occhi in un Giro d’Italia di trent’anni fa. Ad accelerare il declino di Miguel Indurain, fino ad allora un dio invincibile della bicicletta, arrivarono due ragazzi nati nel 1970. Si chiamavano Marco Pantani ed Evgeni Berzin.
Evgeni Berzin, nato a Vyborg, al confine tra Russia e Finlandia, campione del mondo dell’inseguimento, primo russo in rosa. Vive a Broni, nell’Oltrepò Pavese.
“Buoni vini, buona cucina. E questo ha inciso sulla mia linea, ecco”.
Di cosa si occupa oggi?
“Ho una concessionaria, vendo macchine. Il lavoro non è tanto, si tira avanti, è un mercato inflazionato, con tantissime proposte e guadagni relativi. Macchine usate soprattutto”.
La maglia rosa ce l’ha ancora?
“Sì, è in salotto, ai clienti non la mostro mai. È una cosa mia, privata, ma è una cosa che mi inorgoglisce moltissimo e se mi chiedono di raccontare, io racconto davanti a un buon bicchiere di vino. Ho una compagna italiana, un figlio di 26 anni che fa il carabiniere, ora sta svolgendo il corso ufficiali. Una vita normale, di provincia”.
Eppure, in un’altra vita, lei ha battuto Pantani e Indurain.
“Un Giro bellissimo, quello del 1994. Venivo dalla vittoria alla Liegi-Bastogne-Liegi e avevo una squadra fortissima, la Gewiss di Argentin, Riis, Cenghialta, Volpi. Accumulai molto vantaggio nella prima parte, a cronometro soprattutto”.
La Grosseto-Follonica, indimenticabile sconfitta di Indurain.
“La prima crono persa da Miguel da chissà quanti anni. Quadrava tutto, volavo in quel caldo asfissiante della Maremma, la giornata più bella della mia carriera”.
Pantani?
“Restò nascosto fino alle montagne. Vinse la tappa di Merano attaccando sull’ultima salita. Poi arrivò la tappa del Mortirolo e mi fece passare una giornata terribile”.
Ce la racconti.
“Lui attaccò almeno tre volte. Io avevo la maglia rosa, cercai di tenere il suo passo ma alla fine ci macinò tutti. Pantani è stato il più grande scalatore di tutti i tempi e trovarselo contro non era per niente una cosa bella.
Aveva un modo furioso di scalare e andava in salita anche quando non era al cento per cento. Quel giorno mi salvai, Miguel no, andò alla deriva: lo riprese ma poi Marco lo staccò di nuovo, definitivamente. E Miguel gliela giurò, infatti al Tour, un mese dopo, non gli fece vincere nemmeno una tappa”.
Quanto è complicato un grande giro?
“Complicatissimo. Devi essere al massimo tutti i giorni. Anche una tappa banale nasconde insidie. Claudio Chiappucci perse un Tour de France nel 1990 in una tappa banale, per un errore di valutazione. Devi tenere un livello medio, non sbagliare tattica, avere buoni consigli dall’ammiraglia, non prendere freddo, non cadere”.
Quel Giro è rimasto la sua più grande vittoria.
“Tanti mi chiedono: perché non hai vinto più nulla? Beh, avevo vinto tanto prima, alla fine il ciclismo ti esaurisce e noi non eravamo come quelli di oggi, che corrono poco, dove vogliono, quando vogliono, vincono e spariscono per un altro po’. Noi facevamo Liegi, Romandia, Giro, Svizzera, Tour, tutto di filato. Durare era molto difficile”.
Lei c’era anche al Giro ’99, quando fermarono Pantani.
“Giornata bruttissima per il ciclismo. Tutti bravi dopo, tutti a fare conferenze stampa, a dire che sapevano. Eppure Marco fece un nuovo esame a Imola, poche ore dopo, ed era tutto in regola, come se il controllo di Madonna di Campiglio l’avessero fatto a un altro. Magari hanno voluto colpirne uno per educarne cento”.
Però il doping nel vostro ciclismo girava moltissimo, impossibile negarlo.
“Ma quando prendi uno, devi essere certo della sua positività. Altrimenti fai solo danni. E sappiamo sul cuore di Marco questa storia che effetti ha avuto”.
Il ciclismo di oggi è più pulito?
“Oggi si lavora molto sui materiali, sulla preparazione, sull’alimentazione”.
Pogacar vincerà facilmente il Giro?
“Un Giro non si vince facilmente. Dovrà sudarselo, com’è sempre stato. E le squadre avversarie potrebbero allearsi contro di lui. Nessuno parte per perdere”.
Ganna ha sbagliato a non diventare un corridore da corse a tappe?
“Lui ha vinto come me mondiali dell’inseguimento, ma è molto più alto di me e molto più pesante. E quel peso sulle montagne fa la differenza in negativo”.
Anche Indurain era altissimo.
“Ma era magro. Era un chiodo, le sue gambe facevano impressione. Ed era un mostro di concentrazione, di capacità di resistere al dolore. Era unico”.
La salita di Oropa la ricorda?
“Sì, al Giro ’99, quando Pantani ebbe il salto di catena. Ero in gruppo e pensai ‘beh, oggi forse ci fa riposare’. E invece tornò sotto come una furia, ci travolse da dietro, letteralmente. E io nel ’99 non andavo più”.
Rimpianti?
“Quanti possono dire di aver battuto Pantani e Indurain in un Giro d’Italia?”.
Solo lei.
“Eh già”.
La bici la prende ancora?
“No, non ho tempo, il lavoro chiama. E poi sono ingrassato tanto. Ho preso un kg per ogni anno passato dal 1994”.
Trenta.
“Eh sì, più o meno”.