Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport - Estratti
atalanta bayer leverkusen gasperini con la coppa
In un un video girato poche settimane fa è in mezzo a un gruppo di bergamaschi ai quali accenna un pezzo dei Dik Dik: «Sì, io mi fermo qui/ Qui dove vivi tu/ No, più non cercherò/ Un altro nido ormai». Gian Piero Gasperini si definisce «fedele di natura, come l’arma dei carabinieri».
La carriera lo conferma: da allenatore delle giovanili, nove anni alla Juve; da primo, tre al Crotone, sette al Genoa, pur se in due fasi, infine tante stagioni all’Atalanta, nove con questa. «Ma sai che ero così anche da giocatore? Cinque anni a Pescara, altrettanti a Palermo».
Non pensi che sia un limite?
«È possibile. Resisto. Non mi muovo anche perché trovo ambienti talmente buoni da scoraggiare la partenza».
Oggi sei particolarmente allegro, quasi pacificato.
«È vero, sono tranquillo. È appena venuto giù un acquazzone che ci ha rinfrescati, solo ieri un caldo che non si resisteva».
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Quindi è un fatto occasionale: meteoropatico, oltre che incazzoso.
«Leggenda. Incazzoso, boh, non sempre. Come ho già chiarito, sono stronzo con gli stronzi e buono con i buoni. Ecco, non sopporto i soprusi, le ingiustizie. Sono poco diplomatico».
Se ne sono accorti gli arbitri.
«Dopo tutto quello che ho dovuto mandare giù… Le cose però sono migliorate, mi sono vaccinato. Da un certo punto di vista anche loro hanno imparato a conoscermi, si rapportano in modo diverso. Qualche anno fa ci sono state troppe cose, comunque devo ammettere che il loro è diventato un mestiere impossibile, colpa del regolamento che troppo spesso non è chiaro».
Volutamente?
«Questo non lo so, ma sui contatti e i falli di mano non si capisce più nulla. Troppe interpretazioni dissimili e notevoli diversità tra il campo nazionale e quello internazionale. In serie A e nelle coppe si giocano due differenti sport. Prendi l’Europeo, il Var è intervenuto pochissime volte, mentre da noi arbitra spesso. Le decisioni del Var vanno disciplinate una volta per tutte. Aspetta, un’altra cosa che mi fa andare fuori di testa è la simulazione».
Chiesa e Immobile lo ricordano bene.
«La simulazione eclatante, il giocatore che si tuffa senza essere stato nemmeno toccato mi fa incazzare di brutto. Questo è barare, il simulatore bara. Le mie non furono proteste contro la persona».
Vialli un giorno sottolineò che il calcio professionistico non è sport, ma gioco, e il gioco prevede anche il bluff.
«Se un giocatore induce l’avversario al fallo, si parla di abilità. Assai diverso se cade per un respiro. Lo trovo gravissimo. E se un arbitro di campo non sa valutare l’entità di un contatto è meglio che cambi mestiere.
(...)
Sei il profeta delle marcature a uomo per tutto il campo. Dell’uno contro uno fatto metodo.
«Che cagata. La faccio semplice: difendere sull’uomo, anticiparlo e poi, nella fase offensiva, puntare l’avversario per creare superiorità. Ma ci sono tante declinazioni, aggiornamenti, correzioni».
L’ultimo Europeo per noi è stato addirittura depressivo. Cosa ne pensi?
«La penso come tanti altri. È mancata la squadra, Spalletti non è riuscito a trasmettere certi princìpi, le ragioni può conoscerle soltanto lui. L’Italia era scarica, svuotata. La delusione principale è stata questa, perché le nostre nazionali si sono sempre distinte per solidità, senso del gruppo.
Non abbiamo mai avuto i Pelé, i Maradona, i Cruijff, i Messi, però gli ottimi giocatori non sono mancati. I nostri Palloni d’oro si chiamano Rivera, Rossi, Baggio, nel 2006 l’hanno dato a un difensore, Cannavaro, in quella squadra c’erano Iaquinta, Camoranesi, Gilardino, Oddo, Grosso, Perrotta.
Noi italiani siamo così, dopo una delusione butteremmo tutto a mare. Dovremmo invece ripartire dalla lezione subita. E dai vivai, certo. L’80 per cento dei giovani italiani gioca a calcio e se non riusciamo a farli crescere e a portarli in prima squadra è il sistema che è sbagliato».
Perché quando un calciatore lascia l’Atalanta finisce per rendere la metà? Con te sputano sangue?
«Altra leggenda metropolitana. Mancini e Cristante nella Roma, Kessie, Romero, Hojlund allo United...».
Poche unità rispetto alla marea di fallimenti.
«Noi facciamo spesso allenamento. Qui in ritiro sono arrivato a tre al giorno».
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Hai preso Zaniolo perché vuoi vincere anche questa scommessa?
«È stato lui a scommettere su di noi. Mi piace come profilo. Vuoi sapere com’è andata?».
Sono tutto orecchi.
«Un giorno telefona Borriello e mi fa: “Mister, ho un giocatore che vuole venire da lei, uno forte, una bestia”. E io: Marco, chi è? “Zaniolo”. Bravo, mi piace. Ne ho parlato con D’Amico, poi con Percassi, questo ragazzo mi interessa, ed è arrivato».
Ti ha eletto a terapia. Avrà notato la crescita di Scamacca e De Ketelaere.
«L’Atalanta non può permettersi acquisti milionari. E allora coglie le opportunità. Scamacca e De Ketelaere cresciuti? Parzialmente (ride). Ma erano soltanto al primo anno».
Gian Piero, è vero che l’Atalanta ti riconosce una percentuale sulle vendite?
«Ehm... Alla fine del primo anno, quello del boom, furono ceduti Caldara, Kessie, Conti, Bastoni, Gagliardini. Avevo uno stipendio basso (altra risata), Percassi premiò il merito, integrò. Questa felice tradizione si perpetua ogni anno».
Tu uno degli alfieri degli over 60: Sarri, Mourinho, Spalletti, Ranieri che ha appena mollato. Occhio ai giovani.
«Ma io sto tra i quarantenni».
Molti sono figli tuoi: Motta, Palladino, Gilardino, Juric, Bocchetti, Biava, Paro, Modesto. Thiago è il più trendy.
«A Bologna ha fatto cose eccezionali, proponendo soluzioni nuove, in particolare nel disimpegno dal portiere».
È l’allievo migliore.
«Ma è arrivato dietro...».
(...)
Che genere di allenatore sei?
«Uno che copia. Io osservo, prendo appunti, poi magari non ripeto, ma sono attento a tutto e tutti».
Quanto hai pensato all’offerta del Napoli?
«Ci ho pensato, sì. Ci sono stati alcuni momenti della stagione in cui ho creduto che fosse arrivata l’ora di lasciare l’Atalanta. Ma volevo lasciarla bene, senza polemiche, senza una delusione. Abbiamo vinto e alla fine hanno prevalso Bergamo, la sua gente e tutto quello che si porta dietro. A Napoli ora c’è Conte, i tifosi non possono provare dispiacere».
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