1 - JANNIK SINNER "STATE ESAGERANDO, NON SONO PERFETTO LASCIO I PIATTI SPORCHI NEL LAVANDINO"
Stefano Semeraro per “la Stampa” - Estratti
Metti un pomeriggio al Country Club di Monte-Carlo, una chiacchierata vista mare con Jannik Sinner. «Vista Sonego», corregge Jan in versione battutista, buttando un occhio all'amico e compagno di doppio con cui debutta oggi nel torneo e che qualche metro più sotto sta lottando contro Bautista Agut.
Sinner il buono, che oltre a ramazzare trofei soccorre gli spettatori, regge l'ombrellone alla raccattapalle, piace ai grandi e ai piccini. Santo subito: non sarà troppo?
«Eh, forse un po' state esagerando. Perché sono tutte cose che accio in maniera spontanea, senza pensarci: se uno spettatore sta male in tribuna è ovvio soccorrerlo. Poi in campo sono serio, ho i miei rituali, ma quando finisce la giornata o piove e devi interrompere il match io scherzo, rido. Sono sempre stato così, la differenza è che ora ho più telecamere puntate addosso».
Ci dice un suo un difetto? Basta uno.
«Ho gli stessi difetti di tutti i ragazzi, quando finisco di mangiare non lavo i patti, li lascio lì due giorni…E a volte mi arrabbio anch'io. Ma va capito il momento, ce n'è uno per scherzare e uno per arrabbiarsi. Come tennista a volte ho troppa fretta di imparare, di aggiungere cose, mentre la fretta è il nemico più grande perché ti fa perdere lucidità. E invece di aiutarti, ti frega».
Djokovic, da numero uno del mondo, sostiene che il migliore oggi è lei: perché ha imparato a vincere i match che contano.
«All'inizio era impossibile. Se ci riesco ora vuol dire che ho imparato da ciò che ho vissuto. Non è detto che vinca tutte le partite nemmeno ora, ma è vero che la differenza sta proprio lì. Per mesi ho fatto sempre quarti, ottavi, qualche volta semifinale, tutti risultati ottimi, soprattutto nei grandi tornei. Mancava l'ultimo passo, ora è arrivato ed è cambiato tutto».
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Ora sta recuperando anche con la palestra?
«Solo io e il mio team sappiamo quanto tempo ci passo. Ma sto bene. Ho giocato tutto l'anno scorso senza problemi e questo mi ha consentito di dare sempre il meglio, settimana dopo settimana».
Quanto è migliorato, in percentuale?
«Non saprei: mai stato bravo con i numeri. Sicuramente il salto di qualità è stato sia fisico sia tattico. Ora riesco a giocare senza pensare tanto. Prima invece sì, e non ero fluido. Adesso sono in grado di applicare la tattica giusta a seconda degli avversari. Ma per riuscirci devi essere consapevole di poter eseguire certi colpi, che prima non sapevo fare. E in questo c'entra molto Simone (Vagnozzi, il suo coach, ndr)».
Dopo mesi trionfali sul cemento ora le tocca la terra. Preoccupato?
«Non è la mia superficie migliore. In passato mi è capitato di faticarci un po', e la scorsa stagione non è stata fra le migliori. Ma i miei primi quarti in uno Slam li ho raggiunti al Roland Garros, e li ho fatti anche a Roma. Sarà una stagione lunga e complicata, ma credo di poter giocare bene anche sul rosso».
Già da Monte-Carlo?
«Non ho grandi aspettative. Questa settimana la prendo come l'opportunità di fare un misto di allenamento e partite. Gli obiettivi chiave saranno il Roland Garros e le Olimpiadi, e Roma che per me è molto importante».
C'è chi la vuole portabandiera azzurro ai Giochi: ci sta?
«Secondo me è giusto che lo faccia chi ha già vinto una medaglia d'oro. Per me sarà la prima volta. Sento di aver contribuito insieme ad altri a far crescere il nostro tennis, ma ci sono atleti che hanno costruito la carriera sulle Olimpiadi, e lavorano quattro anni per una gara. Ho letto una intervista a Usain Bolt in cui diceva: "io lavoro quattro anni per correre in meno di 10 secondi, e c'è chi vorrebbe risultati dopo due mesi'. Per loro è un appuntamento fondamentale. Per noi tennisti anche, ma fra Slam, Masters 1000 e Coppa Davis abbiamo più occasioni. Detto questo, se mi chiedono di farlo, mi farà molto piacere».
Da spettatore che gare andrà a vedere a Parigi?
«Ancora non lo so, vediamo. Sicuramente l'atletica. E mi piace molto l'idea di poter incontrare atleti di tante discipline, di confrontarmi con loro».
Oltre che in campo non se la cava male neanche come attore negli spot televisivi: il regista ha apprezzato?
«Eh, sembra facile, ma non è così. C'è tanto lavoro dietro, e io cerco di dare il meglio, sempre. Ma il mio forte rimane il tennis».
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2 - SINNER MISTER NORMALITÀ
Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera” - Estratti
È rilassato («La pressione mi piace, ma amo anche condurre una vita semplice: per me è importante»), contento perché ha appena avuto i biglietti per il babbo (come lo chiama lui), curioso: «Lo swing americano sul veloce è andato molto bene, adesso voglio proprio vedere come reagisco sulla terra».
Jannik n.2 del ranking somiglia al Sinner che ancora non tallonava Djokovic da vicino: piantato al centro del suo mondo, mentre tutto intorno Montecarlo impazzisce per il fuoriclasse italiano, la parola che pronuncia più spesso, e con maggior partecipazione, è «normalità». Normalità della famiglia in arrivo, del mestiere che ha scelto, del sorpasso all’orizzonte. Un futuro re del tennis normale, se mai sarà possibile.
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Cosa la incuriosisce dell’Olimpiade?
«L’atmosfera, il fatto che ci sia solo ogni quattro anni, la condivisione, incontrare altri atleti. Mi piacerebbe andare allo stadio a vedere l’atletica. A Tokyo, tre anni fa, non mi ero sentito pronto ma ora è cambiato tutto».
Dopo la tiritera su Sanremo (va? non va?) è matura la tiritera sul ruolo di portabandiera dell’Italia ai Giochi di Parigi: è giusto che lo faccia Jannik Sinner?
«Secondo me è giusto che lo faccia un atleta che ha già vinto una medaglia d’oro. Per me sarà la prima volta ai Giochi, sento di aver fatto fare un bel passo avanti al tennis italiano insieme agli altri azzurri, però onestamente la bandiera deve portarla chi basa la carriera sulle Olimpiadi. Poi se vogliono darmela, io sono felice ma come tennista ho i quattro Slam, i nove Master 1000, la Coppa Davis... Per me l’Olimpiade è un torneo, un di più.
Per altri è il torneo».
Giusto ragionamento.
«Ho letto un’intervista a Usain Bolt in cui diceva: io mi alleno quattro anni per correre cento metri in nove secondi. Mi ha colpito».
jannik sinner e serena williams a miami jannik sinner