STEFANO SEMERARO per la Stampa
La Diva si è accesa, adesso provate a spegnerla.
tiger woods alla partita di serena williams
«Ti aspettavi una prestazione così?», hanno chiesto a Serena Williams appena dopo la sua seconda vittoria agli Us Open, la Broadway del tennis che dovrebbe essere il suo ultimo torneo ma nel frattempo si è trasformato nel suo palcoscenico personale.
«Cosa?» ha risposto la ex n.1 del mondo, ora scivolata ad un poco credibile numero 605, trattenendo una risata insieme di scherno e di lesa maestà. E incredula, a ragione, dello stupore altrui.
«Io sono semplicemente Serena».
Una che può anche perdere, ma che non esce mai sconfitta, la stella che da sola o quasi per vent'anni ha retto il confronto con i Fantastici Quattro - Federer, Nadal, Djokovic e Murray - e che ancora oggi, a tre settimane dalle 41 primavere, riesce a ancora a illuminare il prime time della Grande Mela e riempire le cronache, non solo sportive, con i suoi vestiti luccicanti, i suoi colpi devastanti, la sua personalità strabordante. «Larger than life», più larga della vita, come dicono qui. Sicuramente più grande del tennis.
tiger woods alla partita di serena williams
Anett Kontaveit, la sua avversaria di ieri, ha 15 anni di meno di Serena sarebbe anche la numero 2 del mondo, ma ieri si è accomodata in tre set (7-6 2-6 6-2), e al momento della stretta di mano sembrava una fan contenta solo di poter toccare il Mito. Emma Raducanu, la campionessina in carica, e Naomi Osaka, la sedicente erede della Williams, sono già a casa, confuse e infelici, inadatte ad un ruolo che è stato scritto solo per lei. Serena è ancora dentro, ancora viva, ancora recalcitrante all'idea di togliersi dal raggio dei riflettori.
Stasera la rivedremo in doppio a fianco di sua sorella Venus, domani di nuovo in campo in singolare, sempre con l'idea che possa essere l'ultimo valzer, sempre con la sua aura da rockstar, da celebrity a tutto tondo. Insegue una chimera, la Pantera, il 24esimo Slam che pareggerebbe il record lontano e un po' farlocco di Margaret Court. I guardoni e gli statistici del gioco si affannano da tempo a scovare numeri e proporre paragoni per decidere se sia davvero lei la più forte di sempre, la GOAT come si dice in inglese, Greatest Of All Time. Ma «è difficile paragonare epoche diverse», ripete Serena per prima; e in passato, come hanno ricordato i due immortali Rod Laver e Martina Navratilova, i record contavano meno, i numeri erano una base su cui costruire un discorso, non la sentenza definitiva. La Williams ha vinto meno tornei (73) della Navratilova (167), di Chris Evert (157) e anche di Steffi Graf (107) che pure si è ritirata a 30 anni. Steffi è stata anche l'unica a completare non solo il Grande Slam - vittoria dei 4 grandi tornei nello stesso anno solare, come già fecero Maureen Connolly e la setssa Court - ma anche il Golden Slam, aggiungendo al suo magico 1988 l'oro olimpico a Seul. La Navratilova di Slam di fila ne ha vinti anche 6 - ma in due anni separati -, Serena ne ha conquistati per due volte quattro consecutivi. Ma anche lei ha fallito il poker nello stesso anno: e a negarglielo, nel 2015, fu Roberta Vinci, proprio agli Us Open.
La compilation statistica potrebbe andare avanti per pagine, sminuzzarsi, specializzarsi, dividersi in sotto classifiche e ragionamenti da azzeccarbugli, ma il punto, quello vero, resta una ltro. Muhammed Ali, il primo dei GOAT in tutti gli sport, non era solo il Più Forte. Era, soprattutto, come lui stesso si definiva, il Più Grande. Il fenomeno che sparigliava i conti anche umani, sociali, di costume e mentalità, che ha contribuito a rivoluzionare più di un'epoca, non solo una statistica. Su questo piano, l'unico confronto che si può fare fra Serena e un'altra tennista è con Suzanne Lenglen, la prima Diva del tennis.
L'atleta che negli anni venti del secolo scorso tutto il mondo conosceva, che giocava con le stelle del cinema e faceva aspettare i re. Che ha costretto i francesi a costruire il Roland Garros, e gli inglesi a traslocare Wimbledon in un impianto più grande. Suzanne, come Serena: la stessa iniziale, lo stesso impatto sul mondo, non solo quello del tennis. Due icone, e per una volta la parola non è sprecata. Suzanne con i suoi colpi da ballerina e l'allure da primadonna, le copertine, le trasferte internazionali seguite dalla stampa come le tournée di una stella di Hollywood, capace di inaugurare - da donna, e a quei tempi - il primo vero professionismo del tennis. Serena con le sue lotte, le sue battaglie, la volontà di aprire agli afroamericani un mondo ancora 'prevalentemente bianco', la sua capacità di reinventarsi in mille mondi, dal business alla tv, nonostante le origini non certo da predestinata, gli inizi passati a schivare pallottolle insieme a sister Venus sui campetti pubblici di Compton, California. Ventisette anni di carriera, e sempre il nome più grande in cartellone, sempre al centro dell'attenzione, schierata con le mamme lavoratrici, a favore delle pari opportunità, ascoltata, più o meno volentieri, da tutti e da tutte, più o meno volentieri. Una che fa opinione, che fa moda, che fa rumore, anche con le sue disavventure, le sue crisi, i suoi tanti errori, le scelte sbagliate e le sconfitte che avrebbe potuto evitare.
Per le Ultime Recite - ma quale sarà, davvero, l'ultima?… - ha scelto un total black sbirluccicoso e fra i capelli le perline della figlia Olympia - le stesse che indossava nelle sue prime folgoranti esibizioni - sulle scarpe da tennis ha voluto 400 diamanti, del resto c'è chi ha già pagato 1200 dollari di biglietto per vederla. A Flushing, come è capitato spesso, si parla quasi solo di lei. Forse non la più tecnica, e non la più vincente di sempre, se mettiamo mano al pallottoliere. Ma la probabilmente la Più Grande, quello sì: con il permesso di Suzanne. E comunque, semplicemente Serena.
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