Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
Avete mai visto un ragazzo felice? Io sì, l’ho visto martedì sera nei sotterranei dell’Olimpico, a fine partita, che rispondeva alle domande dei giornalisti. Era Paulo Dybala. Felice? Di più, raggiante. Di più, uno a cui avevano appena estirpato un bubbone, quelli più difficili, quelli dell’anima. Era un ragazzo che si era liberato di un peso, una scimmia che stava diventando un elefante.
L’estinzione di un debito pesante. La tremenda sfida di dover corrispondere a un amore esagerato e incomprensibile, senza aver fatto ancora nulla per meritarlo. Paulo Dybala stava vivendo da quasi un mese la stessa angoscia vissuta da Josè Mourinho un anno prima, accolto a Roma da un tributo che non aveva quasi senso per quanto enorme. Ieri Mourinho, oggi Dybala e chissà quanti altri passati e futuri fanno i conti con l’imbarazzante follia della gente romanista che ti avvolge e ti strazia con il suo abbraccio non perché tu ne sei degno ma perché da lì in poi sentirai il dovere morale, affettivo, estetico di esserlo. La gente romanista spreca il suo amore perché torni amore, è un investimento suicida ma, da solo, vale a dare senso a una vita, a più vite.
Paulo, ragazzo delicato e tosto allo stesso tempo, acuto quanto basta (ancora di più quando è felice, quelle pupille blu ghiaccio, che in un altro film sarebbero stato quelle di un infante diabolico, saettavano, mandavano lampi, come quelli del suo calcio). Era un Dybala loquace martedì sera, perché la felicità è loquace. Mentre di fuori la “dybalite” infuriava più che mai. La gente allo stadio, la gente a casa, che sbracava nel deliquio semisognante di chi, quasi incredulo, vede i suoi sogni materializzarsi. Ma si può? A Roma, alla Roma, non sono troppo abituati a questo “scandalo”. Dybala per una sera era stato quello scritto nel libro dei sogni. Forse anche di più.
Il ragazzo veniva da mesi molto tribolati. Il rospo alla Juve. Grosso quanto una casa. La Juve era la sua casa. (Mal)trattato come non si sarebbe mai aspettato. Prima celebrato, poi liquidato come una vecchia bambola, graziosa ma superflua. I suoi sguardi di sfida alla tribuna. Quelli sì, da infante rabbioso.
Le telefonate di Mou sono una coperta calda. Il Dybala che arriva alla Roma si porta dietro fantasmi e cattivi pensieri. Non sa bene quello che troverà. Non lo immagina. Non può immaginarlo, per quanto Mou si sia sforzato di raccontarlo. Il Dybala che abbiamo visto dal suo primo giorno in rosso pompeiano (quanto gli si addice!) fino a martedì sera era un ragazzo che provava a capire dove l’avessero paracadutato.
Smarrito al suo arrivo, costretto ad appiccicarsi in volto un sorriso di circostanza, stranito dalle prime manifestazioni di affetto, poi sbalordito e imbarazzato quella sera al Colosseo quadrato (bellissima l’immagine di lui accovacciato a terra, come lo spettatore di un film che non lo riguarda), impressionato la sera della presentazione all’Olimpico. E poi teso in volto, quasi oppresso da uno spasmo, nell’esordio in campionato all’Olimpico, il peso paralizzante del “debito”, la smania di onorarlo. Si batte come un furetto, ma c’è ancora caos nella sua testa e nelle sue gambe.
E poi, martedì sera. Due gol insieme. Troppa grazia. I tifosi impazziti e pieni di gratitudine. Due gol in cui c’è tutto il calcio di Dybala, ma c’è anche quello che non c’è mai stato. Quella rabbia. Più dominante ancora della tecnica. Che diventa il suo superpotere. Si moltiplica. Due gol che fanno cento, dentro un ritratto tutto da aggiornare. Nel primo Paulo s’inventa quello che non è, la dirompenza muscolare di un Cristiano Ronaldo con l’esecuzione che è un colpo di piumino. Il secondo è il più interessante. Pura rabbia. Pura fame. Se il primo è decisamente bello ma credibile, il secondo stupisce. A qualcuno dei romanisti ricorda Montella, ma era un gol cattivo alla Carlos Tevez, il gol di un’anima sfregiata. Bello pensare che siano due come Mourinho e Dybala, due campioni con la smania di pagare un “debito”, il motore della Roma che sarà.
Da martedì sera Paulo Dybala è ufficialmente impaginato nella galleria romanista di chi, avendo ricevuto un esagerato amore, ha provato a ricambiarlo. L’unico modo per dargli un senso. Di uno che credeva di aver perduto la felicità e invece l’aveva trovata. Come quando litighi con la tua donna, entri per sbaglio nella porta accanto e trovi l’amore della vita. Che favola sia. Maledizione!
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