Fabrizio Roncone per il "Corriere della Sera" - Estratti
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La notizia che Dimarco sta lavorando a parte, in palestra, arriva mentre il gruppetto dei cronisti scende alla stazione centrale di Lipsia, che è luminosa e grande, la più grande d’Europa, dopo aver viaggiato su un trenino puzzolente e lento, cinque ore piene per arrivare qui, in Sassonia:
non siamo andati al risparmio, è che l’alta velocità proprio non c’è in questo tratto, la famosa locomotiva economica tedesca ha rallentato anche sui binari e così tutti lavoriamo attaccati ai cellulari (abbiamo lasciato gli azzurri che, nella foresta di Iserlohn, stavano per cominciare l’ultimo allenamento, prima di venirsi a giocare nel Leipzig Stadium la qualificazione agli ottavi contro la Croazia).
Entrano whatsapp pieni di una certa cupa vaghezza. Darmian potrebbe prendere il posto di Dimarco. Confermato, forse, e nonostante tutto, Di Lorenzo. Ancora incertezza su Jorginho e Chiesa. Si cerca di verificare se, davvero, come gira voce, Retegui possa giocare al posto di Scamacca. Raspadori trequartista: è una possibilità che resta? E la voce che Pellegrini andrà in panchina? Qualcuno ha capito se il cittì ha cambiato idea nella notte e se la rischierà con una difesa a tre?
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Quando ci sono troppi dubbi, nel calcio, durante le riprese di un film, nella vita, non è mai buon segno. I dubbi sono il miglior propellente per rischiare di sbagliare. Senza considerare che possono scatenare paure incontrollabili.
Infatti, per capirci: da almeno tre giorni, sui giornali e nei talk televisivi non facciamo che parlare di Modric. Identikit per spiegare come sta, come non sta, e che pensa, che dice, e quanto male può farci in campo.
Adesso, va bene: è ancora l’emblema della Croazia e, a lungo, lo abbiamo tutti ritenuto il più forte centrocampista del pianeta. Però ormai viaggia verso i 39 anni (li compirà il 9 settembre), ed è ben dentro quel declino fisico per cui a un calciatore resta al massimo un tempo di gioco nelle gambe: certo sei sempre Modric, anche da fermo puoi comunque inventarti robe pazzesche ed è per questo che Carlo Ancelotti, nel Real, ad un certo punto, lo buttava dentro.
Quindi, ecco, mettiamola così: dobbiamo averne rispetto, grande rispetto, però non possiamo esserne terrorizzati. No, proprio no. Anche perché, diciamocelo: capace pure che l’anno prossimo, di questi tempi, Modric ce lo ritroviamo in un torneo di padel, a Formentera, con Ventola e Bobo Vieri. Ma è così che va, questa vigilia. C’è un’atmosfera plumbea. Negativa? Sì, probabilmente sì.
Del resto tutti — noi sul trenino che ci ha portato qui, e però anche la truppa azzurra che, finito un pranzo leggero, adesso si sta imbarcando per raggiungerci — tutti teniamo d’occhio il tabellone e facciamo calcoli, immaginando i vari incastri, le combinazioni che l’Italia ha per passare il turno: da seconda nel girone, o ripescata tra le migliori terze.
È la dimostrazione che ci sentiamo profondamente insicuri. Anzi, a raccontarci un po’ di verità: temiamo che la partita con la Croazia possa trasformarsi in un martirio sportivo. È chiaro che a minare nel profondo la nostra autostima sono stati gli spagnoli. Ci abbiamo perso male. Ci hanno umiliati. Ci hanno fatto una testa così. Perciò il rischio più grande è che nella psiche degli azzurri si sia insinuata la convinzione di essere, strutturalmente, inadeguati per compiere un grande cammino in questo torneo.