Giulia Zonca per www.lastampa.it
L’Uefa chiede con fermezza alle sue federazioni di boicottare i Paesi che vietano «parzialmente o integralmente l’accesso delle donne negli stadi» e l’Italia passa automaticamente tra i cattivi.
Nessuno punta il dito e il presidente Ceferin non nomina né gli stati che si ostinano a fare discriminazioni di genere, né eventuali esempi di attuali partnership malviste, ma le nazioni in questione sono solo due e una ha un accordo con noi.
L’Iran concede unicamente in occasione delle sfide della nazionale pochi e controllati accessi e arresta le ragazze che tentano di vedere una qualsiasi altra partita. Le fa impazzire, le priva della libertà e le spinge al suicidio come è successo per la ragazza in blu, Sahar, morta dopo essersi data fuoco davanti a un tribunale che la voleva condannare per aver tifato. Poi c’è l’Arabia Saudita, altra situazione, ma ancora lontano da quel che dovrebbe essere.
Lì sono nel mezzo di una lenta revisione dei loro dogmi che limitano fortemente le donne e nell’ultimo anno hanno aperto dei settori per loro negli stadi, ma per l’esecutivo Uefa non ci sono gradi di differenza. Il divieto, per quanto mitigato, resta insensato pure se proprio davanti a Juventus-Milan, lo scorso gennaio, le saudite si sono sentite padrone del loro tempo: per molte era la prima volta in tribuna, per quanto delimitata: ingresso in un solo settore, dedicato alle famiglie. Chi c’era era felice di stare lì eppure resta un bel brivido che non può bastare e si esaurirà in fretta se non evolve.
Dove non c’è parità non ci deve essere calcio, almeno non con la complicità europea, così ha deciso l’esecutivo Uefa dopo un dibattito in cui Ceferin ha avuto la parola definitiva: «Non possiamo punire nessuno, è fuori dalla nostra giurisdizione, tocca alla Fifa farlo, però ciò non significa che staremo zitti e lasceremo che ognuno faccia quello che vuole». Peccato che la Lega italiana abbia un contratto con i sauditi: l’ultima Supercoppa si è giocata a Gedda e l’accordo vale per tre delle prossime cinque finali, in cambio gli arabi hanno promesso 23 milioni, i primi 7,5 già consegnati dopo l’ultimo match, 90 per cento ai club e 10 alla Serie A.
Juventus-Lazio si dovrebbe giocare di nuovo in Arabia Saudita anche se non c’è data né sede e magari questa è un’ottima occasione per spostare la prossima ospitata a quando le donne potranno comprare il biglietto per il settore che preferiscono. Se davvero il calcio è stata una spinta, tanto vale darne un’altra, con le spalle coperte dall’Uefa, senza far saltare il contratto.
La decisione riguardo a alla prossima finale starebbe ai club, non alla Lega, ma bisogna capire quanto è stato già determinato. Sei giorni fa Amnesty ha scritto a entrambe le squadre per chiedere di giocare altrove. A sbrogliare la situazione potrebbe anche arrivare l’inchiesta sui diritti tv, ora che la Fifa ha ufficialmente accusato BeoutQ di pirateria e si parla di un canale che ruberebbe il segnale in Qatar per ritrasmettere in Arabia Saudita. Come se già i due Paesi non avessero dispute aperte fra loro. Forse si può oscurare tutto in attesa di trasmissioni più chiare.