Lorenzo Franculli per Oggi - www.oggi.it
C ’era un uomo ancora più grande del campione. Più ricco e profondo dei suoi numeri da leggenda del calcio: 15 trofei tra scudetti, Coppa delle Coppe, Champions conquistati con Samp, Juve e Chelsea e i 5 collezionati come manager-allenatore (dei blues). È questo il filo conduttore che lega LucaVialli (titolo da leggere tutto d’un fiato), un libro che racconta l’essenza e l’umanità di uno dei più forti attaccanti italiani, scomparso per tumore al pancreas.
Esce a un mese circa dall’anniversario della sua nascita (9 luglio 1964) e da quell’abbraccio, infinito e iconico, tra Gianluca e il suo “gemello” Roberto Mancini dopo la vittoria ai rigori dell’Italia all’Europeo del 2021 (era l’11 luglio).
A scriverne per Cairo Editore l’autobiografia (autorizzata dalla famiglia) è Luca Dal Monte che di Vialli è stato amico fin dall’infanzia, «da quando ha tirato i primi calci al pallone, prima nel cortile di via Toti nel quartiere Po di Cremona dove lo chiamavano Topolino per via dei suoi capelli ricci e lunghi, e poi all’oratorio Cristo Re di don Angelo».
Sportività, ma non troppo. C’è un episodio che tratteggia quello che aveva dentro l’ex campione, fin da bambino. Gianluca aveva 10 anni e stava giocando nel campetto dell’oratorio. Un difensore avversario passò la palla indietro al portiere, che scivolò. Autogol.
Ma a “Viallino” la cosa non stava bene e nella sua area prese la palla con la mano per farsi fischiare il rigore contro da don Angelo. Il sacerdote però gli fece una ramanzina: «Sportività vuol dire accettare quel che succede in campo, a favore o a sfavore». «Il messaggio mi è rimasto dentro tutti questi anni», avrebbe ricordato il campione. «Don Angelo mi spiegò come, nella vita, quando le cose che accadono sono al di là del tuo controllo devi accettarle e andare avanti». Parole profetiche.
Questo non vuol dire che “LucaVialli” fosse un santo, eh! «Parlava, faceva di testa sua e ne ha pagato le conseguenze», dice Dal Monte. Non aveva accettato la scelta di Trapattoni alla Juve di portarlo in regia. A Zeman, che aveva parlato della sua “esplosione muscolare” alla Juve, diede del «terrorista». Con Gullit, che al Chelsea lo lasciava in panchina, entrò in attrito. Ma è forse con Sacchi in Nazionale che ebbe il rapporto più conflittuale:
«All’inizio mi amava, poi si accorse che ero uno che faceva domande, che voleva capire e a lui non stava bene». Dal Monte riporta di uno scherzo architettato da Vialli ai danni di Sacchi: al raduno con gli azzurri, gli avrebbe riempito il tovagliolo di parmigiano grattugiato con il risultato che il tecnico se lo versò addosso. Il mister pare non l’avesse presa bene.
Soldi ma non troppo. «Vialli era un divo che non si è mai atteggiato a tale», racconta Dal Monte. Con i primi soldi guadagnati alla Cremonese si comprò una Vespa e sempre in Vespa, da ricco, spesso raggiungeva Stamford Bridge, la stadio del Chelsea. Ma nel mondo del calcio permane un pregiudizio per cui solo chi arriva da una famiglia povera possa diventare un campione. «Non è facile far finta di essere poveri, ma è proprio quello che ogni tanto Gianluca potrebbe anche tentare», aveva scritto il grande giornalista Gianni Mura.
«Ha un modo di fare elegante che non dipende dai soldi, ma dalla tradizione di famiglia della quale fanno parte ingegneri, professionisti e anche un rettore universitario», lo aveva difeso la mamma di Gianluca. «Non credo che uno debba essere povero per avere la motivazione di arrivare. Per me il calcio non è mai stato un fatto economico», aveva detto il calciatore. Non a caso disse no al trasferimento al Milan di Sacchi: «Luca non aveva mai parlato di soldi», svelò Adriano Galliani. Voleva vincere lo scudetto coi suoi “amici” della Samp. E così fu (nel 1991).
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Nel 1996, sbarcato a Londra («Sono un emigrante con la valigia di Vuitton») per giocare e in seguito allenare il Chelsea, scrissero che era in possesso «di una cultura superiore alla media dei colleghi e dedito a letture impegnate». Qui conquistò tutti anche per la sua eleganza e i modi da gentleman: «Al vecchio campo di allenamento di Harlington, conosceva tutti per nome e s’interessava facendo domande a tutti, compresi i boot-boy: i ragazzini che come da tradizione inglese puliscono le scarpe ai giocatori della prima squadra». Gianluca a Londra seguiva anche la politica e leggeva riviste economiche: fu l’unico ex calciatore a essere invitato a pranzo dal direttore nella redazione del The Economist.
Cathryn White Cooper e Gianluca Vialli
L’ospite indesiderato e l’Europeo. Tutto iniziò con un dolore alla gamba, che non passava. Da lì e dopo un’operazione di ernia, Vialli scoprì di avere un tumore al pancreas. Era il 2017. «Lo considero un compagno di viaggio, che spero prima o poi si stanchi e mi dica: “Ora ti lascio tranquillo”». Lui si rifugiò in famiglia, quella che aveva formato con l’arredatrice d’interni londinese Cathryn e le loro due figlie, e la sua d’origine a Cremona.
«Per due anni non disse niente per non farmi soffrire», le parole di Roberto Mancini riportate nel libro. E fu proprio l’amico diventato c.t. azzurro a regalargli una delle gioie più grandi: Vialli fu nominato accompagnatore della Nazionale all’Europeo, il ruolo che era stato di un’altra leggenda, Gigi Riva.
Due giorni prima della finale di Wembley prese la parola a fine pranzo: «L’uomo che quando le cose vanno bene conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che quando le cose vanno male cade sapendo di aver osato. Quest’uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta». Dopo quel discorso gli azzurri non fallirono. Durante i rigori che assegnarono il titolo europeo Gianluca rimase voltato. Poi ecco quell’abbraccio con il suo gemello. E l’Italia intera si commosse con loro.
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