Conchita Sannino per “la Repubblica”
«Io volevo blindare Napoli e il suo lutto collettivo dai giudizi trancianti, dalle tesi che quasi sempre arrivano da alcune parti. Volevo proteggere ciò che di prezioso ci lega per sempre a Maradona».
Ed è per questo, ingegnere Corrado Ferlaino, che è scivolato su un episodio doloroso (ormai datato, e ben superato) del dirigente della Juve, Pessotto?
«Io non ho fatto in tv il suo nome».
Ma ha parlato di un giocatore della Juve che tentò il suicidio.
«Chiarisco l'equivoco. Mi hanno chiesto di commentare in tv le parole di Cabrini: e cioè la colossale sciocchezza che se Maradona fosse andato alla Juve non gli sarebbe capitato di farsi del male. Ho ribattuto che, invece, un latino come lui a Torino non ci sarebbe mai andato, o si sarebbe incupito. E ho aggiunto che a Napoli, per la sua vitalità, diventa più difficile lanciarsi giù dalla finestra. In ogni caso, mi ha chiamato il dottor Pessotto, ho chiarito anche con lui, gli rinnovo i miei migliori auguri».
Il piglio di sempre, oggi, a 89 anni, mentre nel suo ufficio a Palazzo d'Avalos - l'imponente edificio del Cinquecento che ha acquistato trent'anni fa nel cuore della Chiaia nobiliare - lo inseguono dirette tv e le call con giornali dal mondo. Vogliono che l'uomo rimasto per 23 anni al vertice del Calcio Napoli racconti il "suo" Diego. Ma lui è napoletano atipico: lo chiama sempre Maradona, tiene il ciglio asciutto, serra l'emozione sotto il peso dei ricordi.
Che idea si è fatto sulla mancanza dei soccorsi, su una fine senza affetti...
«Fa male pensarlo. E non voglio sapere, a cosa serve. Voglio pensarlo vitale, ironico».
L'ultimo saluto tra voi, quando?
«Pochi mesi fa. Lo chiamai io in Argentina. sembrava sereno, ci demmo appuntamento come si fa sempre, chi poteva immaginare...».
DIEGO MARADONA E CORRADO FERLAINO
Avevate ricucito già da tempo.
«Ma sì. Sono andato a trovarlo a Buenos Aires in un paio di volte. Ero stato con lui anche a Cuba. E poi, sempre in anni recenti, mi ricordo una sera a Roma... Riuscì a giocarmi un bel tiro».
Perché?
«Venne a trovarmi al Grand Hotel. Credo fosse ospite di uno show del sabato in Rai, dove esibirsi e ballare forse lo riportava all'amore del pubblico. Dovevamo vederci a cena.
"Sei mio ospite, decidi". E lui sceglie un ristorante caro e noto di pesce, al Pantheon. Vado lì, s'era accomodato con dieci persone».
corrado ferlaino e diego armando maradona
Perché questo moto d'affetto inarrestabile, a Napoli e non solo?
«Perché il suo calcio faceva impazzire. Perché oltre all'enorme talento, aveva coraggio e lealtà. Perché era un generoso. Lui entrava in casa del principe, ma non lo curava. Si affezionava al suo cameriere».
Cioè, concretamente?
«Un politico, molto potente, non ne farò mai il nome, lo implorò di fare una partitella in provincia: lo avrebbe anche ben remunerato. Niente, gli chiuse sempre la porta. Invece andò ad Acerra, in un campetto fangoso, a raccogliere 20 milioni e fare operare al volto un bimbo di una povera famiglia».
Non si pente di nulla? Non potevate proteggerlo meglio?
«Ma un presidente non è mica un tutore, un predicatore. Poi d' estate lo perdevo di vista. Andava in Argentina, come lo controllavi? Era un campione, con la sua vita...».
DIEGO MARADONA E CORRADO FERLAINO
Non in Argentina, ma con i boss Giuliano a Forcella, affondava nella cocaina.
«Tutti parlano di camorra, di boss. Ma io lavoro a Napoli da quando avevo 16 anni, da 70 faccio l' imprenditore qui. Non mi drogo, non incontro camorre. C'erano in lui fragilità, c'era voglia di sentirsi circondato, a costo di perdersi».
Non parlaste di questo, tra voi?
«Un presidente non può stare addosso a un giocatore, anche se è Maradona. Ma gli mandavo i miei dirigenti più in gamba, più forti. Così come, quando finì in un guaio giudiziario, lo feci assistere dal migliore, l'avvocato Siniscalchi».
Nel docufilm di Kapadia, Diego ripete a un certo punto, adirato: decide Ferlaino, è il mio capo.
«Dopo il primo scudetto, le cose cambiarono. Certo, si riferisce a me quando non volli cederlo. Era un suo mantra».
CORRADO FERLAINO E DIEGO MARADONA
Ma come le venne in mente di puntare a Maradona, 13 miliardi e mezzo di lire, mentre quasi non riuscivate a pagare i dipendenti?
«La follia, quando ci sei dentro, mica la vedi. Avevamo davvero seri problemi. Proprio per il bisogno di fare cassa, organizzammo un' amichevole con il Barcellona. Volevamo venisse Maradona. Ci risposero che non stava bene».
Scopriste che in realtà Diego era in rotta con i blaugrana.
«E cominciò un film. Un thriller...».
Che culmina nella missione impossibile del 30 giugno '84.
«Oltre alla follia di credere in quel progetto, pesarono alcune coincidenze irripetibili. Era un amico Enzo Scotti, che diventò sindaco Dc di Napoli per cento giorni. Ed avevo ascolto presso l'allora potentissimo presidente del Banco di Napoli, Ventriglia».
CORRADO FERLAINO E DIEGO MARADONA
Che diede la fideiussione, 9 zeri.
«Un sabato. Mi svegliai prestissimo, ottenni i documenti in banca, ma prima che leggessero i giornali: attaccavano l'idea di spendere tanti soldi per un campione. Andai in Lega, depositai una busta vuota. Proseguii, sempre in aereo privato, per Barcellona. Col contratto firmato da Maradona, feci tappa ancora a Milano, a sera: convinsi un vigilante a farmi entrare, al posto di quella vuota depositai la busta con il contratto, tornai a Napoli non so a che ora. La città esplodeva di gioia. Lo sa l'enorme dispiacere qual è? ».
Più grande del tutto?
«Sì, non poterlo rivedere neanche dopo. Lui sarà in paradiso. Dove io non andrò».
CORRADO FERLAINO E DIEGO MARADONA DIEGO MARADONA E CORRADO FERLAINO ferlaino maradona ferlaino maradona CORRADO FERLAINO E DIEGO MARADONA