Estratto dell'articolo di Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera”
Nella sala stampa di Montecarlo, il torneo che frequentava più volentieri (insieme a Roma) per la prossimità con il principe Alberto, di cui era amica, la Lea arrivava preceduta da una nuvola di profumo fruttato e capelli biondi.
Sentivi in lontananza il fruscio dei suoi pantaloni palazzo e il timbro flautato di una voce che ha educato intere generazioni al tennis («Un piccolo quindici...») e alla televisione garbata […] e subito dopo sbucava lei, Lea Pericoli. Da sempre, una questione di stile.
Se n’è andata ieri, la Lea, non faceva mistero di aver compiuto 89 anni il 22 marzo anche se la memoria cominciava a tradirla e la mente a fare spesso doppio fallo, l’ultima apparizione in pubblico era stata nel dicembre dell’anno scorso alla festa milanese della Federtennis per celebrare la stagione d’oro di Jannik Sinner […].
[…] Chiederle di raccontare la sua vita da romanzo — i natali a Milano, l’infanzia ad Addis Abeba dove il padre Filippo Pericoli, imprenditore, trasferisce la famiglia dopo la guerra d’Etiopia, l’adolescenza in Kenya — significava, a un certo punto della conversazione portata avanti con l’eleganza di un eloquio infarcito di passaggi colti ma anche di esilaranti parolacce, costringerla a sospirare: «Dal mal d’Africa non si guarisce mai...».
lea pericoli con bertolucci, panatta, pietrangeli e barazzutti
Ogni aneddoto originava laggiù, in Kenya, il Paese amato come nessun uomo mai, per non parlare del tennis. Per nulla incline ad incensarsi, disposta anzi a prendersi in giro con asciuttezza lombarda e ironia, riassumeva così una carriera di ottimi risultati in Italia (27 titoli italiani tra singolare, doppio e misto) e grande curiosità all’estero: «Non ho vinto tanto, però ero tignosa. E certe cose nessun’altra ha avuto il coraggio di farle». Di indossarle, soprattutto: piume di struzzo, brillantini, taffetà e pizzo a Wimbledon, il tempio della tradizione, anticonformismo ante litteram quando il bianco era il colore dominante e Nicola Pietrangeli il maschio alfa.
Nicola, ecco. L’amico di una vita a cui in vecchiaia ricordava le pillole per la pressione in irresistibili siparietti alla Sandra e Raimondo, senza — tuttavia — esserne mai stata la compagna.
«Nicola si arrovella ancora oggi che ha passato i novanta: Lea, perché io e te mai? — raccontava dall’alto di un fascino indiscusso —. Ha ragione, a volte ce lo siamo chiesti anche noi: non è che non ci abbiamo pensato, eh... Ma io avevo sempre al fianco un’altra persona, lui almeno due! In compenso è nata un’amicizia infinita, lunga un’esistenza intera, durante la quale ci siamo pianti sulla spalla tante volte».
Nel periodo della malattia, ad esempio, il tumore di cui la Lea — sprezzante del pericolo come quando faceva vedere la biancheria intima sotto il gonnellino in Church Road — parlò pubblicamente, gesto del tutto inedito a quei tempi. «Mi venne un cancro, stavo male, ero triste, perché tacere? Ti vedo palliduccia, mi dicevano incontrandomi. E io: beh certo, ho un tumore. E quelli stupefatti, a bocca aperta! […] Il cancro in fondo è come una partita a tennis: per batterlo preferisci avere tutto il pubblico che tifa per te».
nicola pietrangeli con lea pericoli
A 91 anni appena compiuti, Pietrangeli ricorda «una sorella, un’amica, una compagna di vita, una cosa bella. Lea era, più che il tennis, la classe. Una signora d’altri tempi». Cosa vorresti averle detto, Nicola, sulla soglia dell’ultimo match? «Arrivederci. Aspettami di là e prenota un tavolo». […] «Morire mi scoccia moltissimo» rideva. I tuoi lampi di luce bionda li vediamo ancora da qui, Lea.
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