Carlos Passerini per il “Corriere della Sera”
«Giocasse oggi, altro che mille gol: ne segnerebbe almeno il doppio». Dino Zoff ha attraversato oltre mezzo secolo di grande calcio, dagli anni Cinquanta al nuovo millennio, prima da portiere e poi da allenatore, ha vinto molto, qualche volta ha perso, ha conosciuto epoche diverse, campioni diversi, stili, moduli, mode. E su Pelé non ha dubbi: «Non era un campione, era un fuoriclasse».
La differenza?
«Nella storia del calcio ci sono stati diversi campioni, ma i fuoriclasse sono pochissimi, come Pelé e Maradona. Diciamo che Diego era un'artista, diverso da Pelè, che era più attaccante, ma entrambi sono primi alla pari in questo dualismo storico, entrambi sono il calcio. Facevano cose che altri non facevano».
PELE ZOFF CAPELLO BETTEGA CUCCUREDDU
Tipo sopravvivere ai tackle dei terzini vecchio stile.
«Oggi i calciatori sono più tutelati, anche se questa parola non mi piace. Pensate solo ai rigori in più che avrebbe potuto calciare. Eppure, nonostante lo picchiassero per tutta la partita, faceva magie».
Altafini sostiene fosse bravissimo anche in porta.
«Se lo dice José... Comunque non mi sorprende: Pelé sapeva fare tutto, questa era la sua vera grandezza, la sua vera differenza, anche rispetto ai campioni attuali».
Non è possibile individuare un erede quindi? Ronaldo il fenomeno? Oppure oggi Mbappé?
«Campioni grandissimi, ma più settoriali. Ognuno di loro eccelle in alcune caratteristiche, ma nessuno ha avuto la completezza di Pelé, che segnava in tutti i modi, di destro, di sinistro, di testa, di forza, di velocità, di astuzia».
Cosa pensa un portiere quando ha di fronte Pelé o Maradona?
«Se pensa, è finita. Non puoi azzardarti a prevedere ciò che possono fare, perché a differenza dei giocatori normali sono imprevedibili, hanno una creatività che è solo loro. Si chiama genio».
Nella finale persa del 1970 la paura di Pelé fu decisiva? Secondo qualche azzurro che giocò quella partita, sì.
«Io non credo. Quel giorno perdemmo perché loro erano complessivamente più forti, tutto qui».
Ricorda qualche incontro particolare con Pelé?
«Ci siamo incrociati molte volte. Giocammo contro negli Usa in un'amichevole (al torneo del Bicentenario del 1976, ndr ). Conservo in salotto una fotografia di quel giorno: gli feci una parata, me la ricordo ancora oggi».
Il primo pensiero, il primo dettaglio che le viene in mente ricordando il Pelé giocatore e il Pelé uomo?
«Uno solo: il sorriso. In campo e fuori, era sempre lo stesso».
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