Mario Piccirillo per ilnapolista.it
Settecentoventidue giorni dopo, e poi forse mai più. Mai più uno Slam a Parigi con Nadal. Spegne le luci del Roland Garros, chiude a chiave, due mandate, e se ne va. Tornerà per le Olimpiadi, e infila una serie di “se” nelle interviste come a togliersi d’impaccio.
Ma in dissolvenza scompare, mentre tutt’attorno si compone il palco dell’addio. Il primo turno, l’ultimo, che differenza fa. E’ un addio. Annunciato con imbarazzo già al momento del sorteggio: linea numero 34 del tabellone, Zverev. Il giocatore più in forma d’un circuito convalescente: tutti acciaccati tranne lui, tra i top. La sconfitta inevitabile andava solo masticata, assaporata. Il gusto dell’ignoto, quel che serve per dire basta, quando davvero non ce n’è più. Ci sono tutti, al Philippe Chatrier: Djokovic, Alcaraz, Swiatek. A testimoniare un passaggio di stato della storia. Seguiranno altri tornei, qualche partita, ma non più il suo torneo.
Nadal-Zverev, dunque. Ecco come doveva finire. Con una trama che il tennis aveva lasciato interrotta, sfilacciata, il 3 giugno 2022. Stesso campo. Era una semifinale, quella. Il tedesco era a 125 punti dal diventare numero 1 del mondo. Dopo 3 ore e 26 minuti Zverev lascia una caviglia piantata su una zolla, in scivolata. Il crac, l’urlo disperato come quello di un animale ferito. Il silenzio. Partita finita. In un istante. Nadal scorta l’avversario negli spogliatoi in sedia a rotelle, prima che quello torni a salutare il pubblico in stampelle, e in lacrime. Rafa andrà a vincere il 14esimo Roland Garros, contro Ruud. Sascha resterà fuori dal campo per 7 mesi.
Quella crepa si rimpone oggi, 27 maggio 2024. L’ultima partita di Nadal a casa sua. 14 titoli, e 25.004.250 euro dopo. Una vita in un torneo: 116 partite, solo 4 sconfitte: due contro Djokovic, una con Söderling, una con Zverev. Il Bois de Boulogne trasuda lentamente il tempo passato. In un distillato d’emozioni a lento rilascio.
Più che una partita, una forzatura: Nadal avrebbe potuto lasciarsi battere dagli infortuni molti mesi orsono, Zverev il 31 maggio dovrebbe comparire al processo per le accuse di violenza domestica e abusi mosse nei suoi confronti dall’ex fidanzata e madre di sua figlia Brenda Patea. E no: Zverev-Nadal non è mai stato un primo turno di nulla. Figurarsi degli Open di Francia.
E invece eccoli lì. Uno, contratto per il peso della sopportazione: favorito a Parigi contro Nadal, è blasfemia. L’altro aggrappato a tutto l’agonismo letterario della sua stessa leggenda. Chi prevedeva una passerella un po’ indelicata s’è trovato di fronte una partita vera. D’attacco e dolorosa difesa. Fine resa mai.
Zverev ha portato a casa il primo set: 6-3. Poi Nadal ha alzato il suo livello attuale – a tratti umano – ed è andato a battere per il secondo set, sul 5-4, prima di arrendersi al tie-break. A quel punto, con la prospettiva di dover costruire da sottozero le fondamenta d’un miracolo, Nadal ha fatto la cosa che l’ha reso il più grande agonista di sempre: impegnarsi, ancora, di più. Un punto dopo l’altro, come se il tennis potesse ridursi davvero solo a questo.
Primo game del terzo set da “vecchio” Nadal, poi il break, 2-0. Con lo stadio inebetito, a negare l’evidenza, il futuro, tutto. E a godersi i successivi giochi, uno sull’altro nell’accumulo delle urla dei due, sempre più sofferenti. Sotto d’un break, ancora sul 3-4, con la gente che urla “Rafa!”. Una lotta, era questa la firma che Nadal voleva lasciare sul suo campo. Un segno indelebile, una lapide sportiva. Nadal vince pur perdendo. Gli è lieve la terra rossa di Parigi.
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