Estratto dell'articolo di Alessandro Ferrucci per “il Fatto Quotidiano”
Al tenente colonnello Bill Kilgore piaceva svegliarsi la mattina e sentire l’odore del napalm; a Pantaleo Corvino piace alzarsi molto presto (“alle 7 sono già diretto al centro sportivo”) e sorridere davanti al profumo dell’erba dei campi da calcio. Settantaquattro anni a dicembre, è uno dei grandi guru del mondo del pallone […]
Come sta?
Meglio, è terminato il calciomercato.
Lo descriva.
È come stare in sala parto, quando sono le ultime ore...
[…]
È oramai un guru.
(Ride, prende tempo) Eppure ho ancora troppa voglia del mio lavoro; (pausa) ho passione, desiderio di sacrificarmi, mi diverto, gioco con l’esperienza e nonostante gli anni non avverto la stanchezza.
Si sente trattato da guru?
Voglio morire come i cavalli di razza: in pista.
Preferisce in campo o in tribuna?
Anche su un campetto, basta sia lì.
Per il calcio a cosa ha rinunciato?
Mi è mancato... (si ferma, riflette, ci ripensa). A venticinque anni sono partito dal sotto marciapiede del calcio, la Terza Categoria, e sono arrivato per quattro volte in Champions League; (altra pausa, ora scandisce) sono quasi a 650 gare in Serie A, per cinque volte sono stato in B e di queste cinque in quattro stagioni ho vinto il campionato.
Sì, ma a cosa a rinunciato?
Mi è mancato il calcio d’élite, mi manca lo scudetto...
Come mai?
Qualche possibilità c’è stata, ho solo scelto di rispettare il contratto e non deludere la fiducia.
[…]
Da dove arriva il nome Pantaleo?
Mi chiamo Pantaleo Oronzo e ho due date di nascita.
Perché?
Sono nato il 12 di dicembre però mi hanno registrato il primo gennaio in modo da guadagnare un anno sul militare; Pantaleo era mio nonno da parte di padre, Oronzo nonno da parte di madre.[…]
[…] Ho un’azienda agricola e sono stato costretto a estirpare 1.200 ulivi: uno strazio, un dolore poco descrivibile, ne ho salvato qualcuno secolare anche se non produce più nulla; (cambia discorso) pure il mare mi tranquillizza.
Bel binomio.
Se non fossi diventato direttore sportivo, avrei optato per il contadino.
Però era in aeronautica.
Perché a 15 anni e mezzo mio padre, muratore, si è ammalato e poi è finito in sedia a rotelle: per portare a casa la pagnotta ho mollato il pallone e sono stato costretto a tentare il concorso in aeronautica: 25.000 aspiranti per 1.500 posti.
Il suo ruolo nel calcio?
Un buon mediano, ma ero troppo giovane per capire le potenzialità; (sorride) a 25 anni ho iniziato la carriera dirigenziale nel calcio e a 39 ho mollato la divisa.
Decisione presa con chi?
(Stupito) Da solo.
Neanche con sua moglie?
No, lei mi ha solo detto: “Fai tu, tanto decidi sempre in autonomia”; lasciai uno stipendio da 2 milioni per una pensione da 600 mila lire. Il problema fu dirlo a mio padre.
Dolore.
Per due settimane andavo da lui in visita e non trovavo il coraggio; un giorno lo raggiungo e lo vedo fuori dal barbiere. Lì mi dico: “È la volta buona, non è a casa, magari non urla”; mi avvicino, era in cima a una discesa: “Papà metti il freno a mano”, temevo si scapicollasse.
E...
Non voglio riportare le sue parole, comunque per i due mesi successivi impose a mamma di non aprirmi la porta di casa.
Tosto.
Era un maestro muratore.
Invece sua moglie l’ha sempre assecondata...
In viaggio di nozze andiamo con il treno in Belgio; dopo un giorno di viaggio arriviamo a Charleroi e lì leggo una locandina: era in programma la sfida con il Bruges. Attenzione, era febbraio, un freddo spaventoso.
Nient’altro?
La porto allo stadio e come pasto le prendo un panino con il würstel. Era pure incinta.
[…]
Vacanze?
Niente da tre anni.
Mai, mai?
Non devo deludere chi mi ha rivoluto a Lecce e quando è così non si devono guardare gli orari né i giorni (chiamato dal presidente Saverio Sticchi Damiani, ndr).
[…]
Ha la fama del sergente di ferro.
Se uno segue e rispetta le regole sono la persona più buona del mondo.
Vucinic non ha seguito le regole.
[…] L’avevo preso in Montenegro e in un match con la Primavera reagì malissimo contro l’arbitro; lo portai a forza negli spogliatoi e gli spiegai il suo prossimo futuro: “Non so quanto prenderai di squalifica, ma per lo stesso periodo, giorni o mesi, ti allenerai con la categoria inferiore e tutte le mattine sarai tu ad aprire il campo e gli spogliatoi”. Per tre mesi è andato avanti così.
I giocatori sono riconoscenti?
ALBERTO GILARDINO - FIORENTINA
Ho visto centinaia, migliaia di ragazzi e a molti di loro, compresi i genitori, sono stato costretto a distruggere i sogni di gloria, a spiegare che non avevano prospettive da professionista. “Meglio se studi”.
Quindi?
Lì per lì le reazioni sono sempre dure, poi anni dopo in tanti mi hanno fermato, ringraziato e si sono scusati; in realtà avrei voluto qualche sputo in faccia.
In che senso?
Qualcuno che mi dicesse: “Direttore, quel giorno ha sbagliato, mio figlio c’è riuscito”. Non è mai successo.
Però nella sua carriera ha avuto tra le mani Cassano e non l’ha tenuto...
Macché! Venne in prova nel mio Casarano, ma aveva altre richieste e la famiglia preferì il Bari; in quel periodo giocava in squadra Miccoli e sognavo la coppia d’attacco Cassano-Miccoli.
[…]
Un giocatore da cosa lo vede?
Il parametro più importante e facile è la destrezza; (pausa) è complicato spiegare e descrivere quali sono i parametri, è una sorta d’intuito.
L’anno scorso Zaccheroni al Fatto si è detto favorevole al sesso prima delle partite...
Sono d’accordissimo, il sesso fa sempre bene.
Sempre.
Una trombata non altera le prestazioni.
Sono più faticosi i genitori o i procuratori?
Attualmente né gli uni né gli altri; i problemi arrivano da altrove.
Da dove?
Penso ai presidenti, alle proprietà; (ci pensa) manca qualche presidente del passato, quelli di oggi fagocitano tutto e non capiscono che pure la realtà del calcio è un’azienda e come tale va trattata.
Nello specifico?
I presidenti si concentrano sulla questione extracomunitari, ma è una bufala: in un mondo globalizzato non ha senso, mentre dovrebbero puntare sul management, sui settori giovanili, sulle strutture, sugli stadi.
[…]
Oggi è il calcio made in Arabia.
Ripeto, siamo in un calcio globalizzato, quindi era prevedibile; magari lo sport, in certi Paesi, serve a mutare il loro stile di vita e a noi portano risorse economiche.
Benedetti petrodollari.
Per fortuna non stanno puntando sui giovani, ma quasi solo su giocatori sul viale del tramonto.
Mancini in Arabia: stupito?
Non mi stupisce più nulla.
Il podio dei giocatori che ha scovato.
Ai tempi del Casarano penso a Miccoli; a Lecce, Vucinic, Pellè, Chevanton, Lucarelli, Bojinov, Ledesma; a Firenze, Gilardino... (e continua con un elenco lunghissimo). Sono pezzi di cuore.
Umanamente a chi è legato?
Ne sento tanti, da Miccoli a Vucinic e Lucarelli; Chevanton è qui a Lecce.
Miccoli ha una condanna a tre anni e sei mesi...
Eh, che non lo so?
Gli è stato vicino?
Va chiesto a lui; (pausa) nella vita, alle persone a cui vuoi bene, devi stare vicino quando compiono qualche stupidaggine.
Il momento più doloroso della sua carriera.
La morte di Astori (nel 2018, ndr): ragazzo meraviglioso, un dolore che mi accompagna sempre; da una settimana ci vedevamo per il rinnovo del contratto; (pausa) l’unica salvezza è guardare al futuro.
Lo fa il Fantacalcio?
(Ride) No, no.
È scaramantico?
Solo con i gatti neri: se ne vedo uno davanti, allora torno indietro.
Chi è lei?
(Resta in silenzio) Penso a un film di Sergio Leone e alla colonna sonora di Morricone: Il buono, il brutto, il cattivo.
(Ps. Richiama poco dopo: “Ho trovato il rimpianto: non so ballare la pizzica, non sono mai sceso in pista”. E sua moglie? “Lei sì, è brava. Io purtroppo no”).