“SONO GIOCHI OLIMPICI, E DOBBIAMO DIVERTIRCI. LE MEDAGLIE NON ARRIVANO? PAZIENZA” – LO SCHERMIDORE TOMMASO MARINI RINFOCOLA LA POLEMICA DOPO LE PAROLE DI ALDO CAZZULLO SUI “BRAVI RAGAZZI DELLA SCHERMA”: “NON POSSIAMO SOFFRIRE PER LO SPORT, ALTRIMENTI LE PERSONE NON INIZIERANNO PIÙ A FARLO. QUINDI DOBBIAMO SEMPRE E COMUNQUE DIVERTIRCI”. SICURI CHE SIA L’APPROCCIO GIUSTO? LA DIFFERENZA TRA ATLETI NORMALI E CAMPIONI E’ PROPRIO NELLA OSSESSIONE PER LA VITTORIA – CAZZULLO: “NON SI PRETENDE LA FEROCIA DEL LUPO SERBO DJOKOVIC. MA…” – VIDEO

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Lo schermidore Tommaso Marini a “Notti Olimpiche” rinfocola la polemica dopo le parole di Aldo Cazzullo sui “bravi ragazzi della scherma”: “Sono Giochi Olimpici, e quindi noi dobbiamo divertirci.

 

Diamo il massimo per vincere delle medaglie. Le medaglie arrivano? Bene. Le medaglie non arrivano? Pazienza. Non possiamo soffrire per lo sport, altrimenti le persone non inizieranno più a farlo. Quindi dobbiamo sempre e comunque divertirci”.

 

Sicuri che l’approccio di Tommaso Marini sia quello giusto? La questione è aperta. Armand Duplantis, dopo l’oro olimpico nel salto nell’asta con record del mondo, ha detto: “Ciò che separa un atleta normale da uno super è il controllo assoluto di ogni situazione”.

 

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Gestione dei dettagli e ossessione per la vittoria. La scintilla che ha permesso a quell’intrepido agonista di Novak Djokovic, che due mesi fa era stato operato al menisco, di recuperare in tempo per i Giochi di Parigi, l’obiettivo che ancora mancava alla sua straordinaria carriera.

 

Lo squalo Michael Phelps, 23 medaglie d’oro ai Giochi Olimpici, mica bruscolini: “Quello che ci motiva è la voglia di arrivare primi, io non accettavo di scalare di un posto”. Per non restare lontano dalla pedana della scherma, basta ricordare la regina del fioretto Valentina Vezzali che mostrava gli occhi della tigre anche nelle partite a carte: “Io non volevo perdere neanche quelle”.

 

IL TENERO GAROZZO E L’OCCHIO DELLA TIGRE

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Dalla rubrica delle lettere del “Corriere della Sera”

 

Caro Aldo, la parte più agonista di me non può che seguire la sua tesi nell’articolo «Scherma, il fioretto insegue l’oro alle Olimpiadi: azzurri fortissimi ma bravi ragazzi» che le ha procurato le critiche del campione olimpico Garozzo; d’altro canto anche io non posso che fare un elogio dei bravi ragazzi della scherma.

Che ne pensa?

Francesco Maria Merella

 

A proposito di quanto scrive sui bravi ragazzi della scherma che non vincono, dico che se la cattiveria è decisione e piglio, sto con lei.

Se invece è scorrettezza, non avere scrupoli, vincere a ogni costo, sto con Garozzo che le ha mosso delle critiche.

Come stanno le cose?

Paolo Decio

 

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Risposta di Aldo Cazzullo

Cari lettori, Daniele Garozzo è un grande campione e un’ottima persona. Ho raccontato per il Corriere il suo oro a Rio, e ne ho apprezzato le qualità sportive e umane, che ha confermato con le sue critiche garbate e intelligenti, per le quali lo ringrazio.

 

Ovviamente dobbiamo intenderci sul significato che diamo alla parola «cattiveria». La cattiveria agonistica non significa mettere le dita negli occhi all’avversario, o non soccorrere un passerotto ferito.

 

Non è il contrario della bontà d’animo e non è un sinonimo di scorrettezza. È quella determinazione assoluta senza cui si vincono magari i Mondiali — competizioni importanti, che si tengono tutti gli anni, ma restano un po’ relegate nella sfera delle varie discipline — ma non si vincono le Olimpiadi, che si tengono ogni quattro anni e che per gli atleti sono un po’ la prova della vita. Non si pretende la ferocia del lupo serbo Djokovic.

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Ho in mente lo sport italiano degli anni 70: Dino Meneghin che lotta come un leone con russi e americani e a fine partita va a stringere la mano agli avversari, uno per uno; gli occhi di ghiaccio di Gustavo Thöni che recupera otto posizioni nella seconda manche del Mondiale di Sankt Moritz; la Juve del 1977, che a Bilbao vince la sua prima coppa europea contro una squadra tutta basca e un pubblico inferocito («ottanta minuti nella nostra area!» racconta ancora oggi Trapattoni).

 

Oppure, per venire alla scherma, penso a Valentina Vezzali, Giovanna Trillini, Elisa Di Francisca, che citando il suo libro scritto con Gaia Piccardi ho definito «bad girl» non nel senso che picchia i bambini, ma che ha affrontato la vita e lo sport con quel senso di agonismo, di audacia, financo di follia che l’ha portata — senza infrangere le regole — a salire su quel gradino più alto del podio sfuggito purtroppo a tante brave ragazze.

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