Cesare Giuzzi per il Corriere della Sera - Estratti
Per molti sono solo quelli «brutti e cattivi». Ma quando vestono lo stadio con l’immagine gigantesca della Madonnina le fotografie fanno i giri dei social e del mondo. Non è ambiente per deboli di cuore, e per tanti le risposte qui sotto suoneranno in modo stonato. Perché quello ultras è un mondo in cui ancora c’è violenza e le tragedie in questi anni non sono mancate. Un mondo in chiaroscuro, da sempre sotto gli occhi degli investigatori. Ma un sistema in evoluzione, che oggi vive anche sui social. Un ecosistema sconosciuto, con le sue contraddizioni e le sue storture.
Ma che ogni domenica attira allo stadio — nel solo secondo anello verde di San Siro — oltre 7 mila tifosi. Alla guida da un anno e mezzo c’è Marco Ferdico, 38 anni, capo e portavoce della Curva Nord interista in una sorta di tandem con Andrea Beretta che per 10 anni non potrà entrare allo stadio. A lui abbiamo chiesto risposte sui temi più spinosi. Dal delitto Boiocchi, fino ai sospetti di rapporti con la criminalità organizzata. Ma anche altro, perché tra poche settimane Milano potrebbe tingersi di nerazzurro per festeggiare la seconda stella, lo scudetto numero venti.
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Qualcuno ha criticato rapporti troppo stretti tra calciatori e ultrà. A fine partita vengono a salutarvi, vi regalano le magliette... C’è chi vede un atteggiamento di soggezione, di paura forse?
«Le maglie non servono per la collezione. Le diamo ai nostri volontari o le mettiamo in palio con delle estrazioni. Questo è chiaro anche alla società, quindi i giocatori lo sanno e ce le regalano per questo. Poi c’è l’aspetto sportivo».
Quale?
«I giocatori vengono sotto la curva perché rappresenta da sempre i tifosi di tutti i settori dello stadio. E per i calciatori il supporto è fondamentale, loro lo dicono».
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Dimarco, ex ragazzo della curva, è stato al centro di un caso paradossale. Lo scorso anno dopo il derby di Champions ha intonato un coro di sfottò ai milanisti: “ma quali scontri e tanti guai/ che non vi picchiate mai”».
«I milanisti sono andati sotto casa con uno striscione».
Ha dovuto chiedere scusa, tanto da far sospettare che fosse stato minacciato.
«Non è colpa di Dimarco, non poteva saperlo».
Cosa?
«Che avevamo stretto un accordo con i capi della curva rossonera: basta parlare di scontri o incidenti. Il coro non veniva più cantato. E allo stesso modo i milanisti hanno rinunciato ad altri cori contro di noi. La reazione dei milanisti è stata certamente esagerata, ma tutto è tornato nella normalità».
Sono dinamiche difficili da comprendere per chi frequenta lo stadio, figuriamoci per un non tifoso. La cosa ha fatto impressione.
«Ma con il calciatore non c’è stato mai alcun problema».
Il 29 ottobre 2022 a San Siro va in scena Inter-Sampdoria. A pochi chilometri viene ucciso a colpi di pistola Vittorio Boiocchi. Il capo della Curva Nord.
«Serve una premessa…».
Boiocchi era tornato a guidare la curva dopo 26 anni trascorsi in cella.
«Vittorio è stato un fondatore della Nord, questo fa la differenza. È naturale che tornasse anche a guidare il tifo. In curva ci sono molti pregiudicati, anche io e Andrea Beretta lo siamo. Io ho riportato una condanna per droga in un’inchiesta di dieci anni fa. Da allora non ho più avuto alcun precedente. Un conto sono i reati da stadio, altro quelli che uno commette altrove. Tutte le curve hanno nei direttivi pregiudicati e non. Non significa che non si possa essere tifosi o leader di una tifoseria».
Ci torneremo.
«Serve un’altra premessa: per rispetto alla famiglia la curva ha deciso di non parlare più di questa pagina dolorosa, dell’uccisione di Boiocchi».
Però è inevitabile farlo: freddato a colpi di pistola in strada. Omicidio peraltro ancora insoluto. Voi che idea vi siete fatti?
«Non facciamo le indagini. Non è compito nostro».
Ma sicuramente un pensiero lei ce l’ha?
«Dico solo che non ho mai avuto motivi per aver timore per la mia vita. Come gli altri membri del direttivo. Questo basta a far capire che le dinamiche del tifo non c’entrano niente. Ci saranno certamente delle vicende, ma non hanno a che vedere con lo stadio».
Ha letto le intercettazioni di Calajò, il ras della Barona: diceva di voler uccidere Boiocchi e anche Beretta per mettere le mani sugli affari della curva. Quali affari?
«Non conosco Calajò, non l’ho mai conosciuto. Evidentemente parla di affari che lui voleva fare in curva, non so quali siano».
Si parla da anni di droga, parcheggi, paninari…
«In curva non c’è spaccio di droga. Certamente ci sarà qualcuno che ne fa uso. Parcheggi? Paninari? Possiamo garantire che la curva non ha alcun rapporto con tutto questo».
Boiocchi intercettato diceva di fare 80 mila euro al mese allo stadio…
«A noi non risulta niente. Posso dire però una cosa tornando alla sera della morte di Boiocchi?».
Dica pure.
«L’allora direttivo decise di svuotare la curva. Qualcuno, ragazzi troppo irruenti, lo ha fatto anche con la violenza e aggredendo chi non voleva uscire o non capiva le ragioni».
Ci furono anche dei Daspo.
«Esatto. In curva non ci sono solo ultrà, c’è chi non capisce molto del nostro mondo. Comunque oggi quella decisione non la riprenderemmo».
In che senso?
«Si poteva interrompere il tifo, ritirare gli striscioni e le bandiere senza abbandonare gli spalti. Senza costringere i tifosi ad uscire».
Farlo contribuì ad amplificare il legame tra il delitto e la tifoseria organizzata?
«Legame che non c’era. C’era il dolore, il lutto per la morte di un amico e nostro leader. Ma così l’effetto è stato peggiore».
E qui veniamo alla parte critica: la violenza.
«È una componente del mondo ultras. Lo era soprattutto nel passato, ma non ci nascondiamo dietro a un dito. È così. Però immaginare oggi quel che succedeva negli anni Ottanta sarebbe autodistruttivo. Una guerra ogni domenica».
Morti e feriti non sono scomparsi.
«Stiamo cercando di fare un lavoro costruttivo con i ragazzi. Non è facile tenere a bada una curva di 6-7 mila persone. Ci sono ragazzi più esuberanti che magari cercano lo scontro, ma una cosa deve essere chiara: un conto è attaccare, uno è difendersi».
E allora la violenza è giustificata?
«Se si viene a Milano ad attaccare i tifosi, ovviamente c’è una reazione. È successo anche in Inter-Juve».
il comunicato della curva nord dell inter per il ritorno a san siro di lukaku
Caso spinoso: ci sono stati due tifosi arrestati, 50 fermati e daspati per aver aggredito a fine partita un gruppo di juventini e poliziotti.
«Durante la partita c’è stato il lancio di fumogeni dal settore ospiti verso la tribuna dove c’erano famiglie. Ovvio che in molti volessero “vendicare” questa azione andando in cerca dei pullman juventini. Alcuni tifosi sono scesi da un mezzo, c’era la polizia subito dietro e ci sono stati incidenti».
È rimasto ferito anche un funzionario della Digos.
«Si ma nelle fasi concitate, non c’è stata una aggressione fisica nei suoi confronti. La polizia ha fatto fermi, arresti e Daspo. Per noi è un capitolo chiuso. Abbiamo anche chiesto scusa e spiegato pubblicamente cosa è accaduto e il perché. Ma evidente non basta, sembra vogliano azzerare la curva».
La questura?
«Sì ci hanno impedito di portare all’interno dello stadio striscioni, impianto e bandiere. Hanno fatto arresti e Daspo, perché ora questa chiusura?».
Gli incidenti però ci sono stati. Anche i feriti. Voi avete scioperato con mezz’ora di protesta del tifo.
«Speriamo si chiuda in fretta. Punisce tutti i tifosi. Quando siamo entrati, lo stadio ci ha applaudito»
Sei anni fa è morto Daniele Belardinelli in scontri organizzati da interisti contro i napoletani.
gli ultras fanno evacuare la curva nord di san siro 2
«È una pagina molto dolorosa, per noi e per la famiglia, che non si chiuderà mai. In questi anni i tifosi del Napoli hanno mancato di rispetto alla sua memoria con continui attacchi. Dede è morto investito in un incidente, non è stato ucciso negli scontri».
Però era una spedizione di ultrà.
«Era una reazione per agguati subiti allo stadio a Napoli ai quali avevamo resistito in più occasioni. E sapevamo che i napoletani ci avrebbero attaccato qui a Milano. Su quei furgoni c’erano armi e bastoni, non eravamo solo noi ad averne».
Quella vicenda vide l’azzeramento del direttivo della Curva per gli arresti e le condanne, perché le sentenze dicono che gli scontri furono pianificati dai capi curva.
«In quel momento il cambio del direttivo fu inevitabile. Poi c’è stato il secondo azzeramento dei vertici dopo la morte di Boiocchi».
E siete arrivati voi. Lei e Andrea Beretta che le ha lasciato la guida della curva perché non può entrare allo stadio per dieci anni. Ha anche avuto la sorveglianza speciale dopo l’aggressione (una gamba spezzata a un venditore ambulante napoletano) aggravata dall’odio razziale.
Qui interviene Beretta: «È stato un errore e sto pagando per questo. Ho risarcito la vittima. Ma non c’entrava niente l’odio razziale, stava infastidendo un nostro ragazzo psicologicamente fragile. Poi è successo quello che è successo, non lo nego».
Ecco, approfittiamo della presenza di Beretta. In questi anni è emersa l’amicizia tra Andrea Beretta e Roberto Manno e tra lei e Antonio Bellocco, entrambi sono legati a importanti famiglie della 'ndrangheta e sono stati condannati per associazione mafiosa o reati aggravati dalla finalità mafiosa.
«Questa vicenda è già stata strumentalizzata abbastanza. Per noi sono degli amici nella nostra vita e tutto ciò che riguarda lo stadio non c’entra niente con loro».
Ma per essere un capo ultras bisogna essere pregiudicati?
«In curva ci sono ragazzi con problemi con la giustizia, ma anche laureati. Non generalizziamo. Certo, serve leadership per guidare così tante persone con teste così diverse. E magari chi ha fatto un percorso “dalla strada” è avvantaggiato».
gli ultras fanno evacuare la curva nord di san siro 5
La politica? È vero che la Nord è di estrema destra?
«Non sappiamo più come ripeterlo. Siamo apolitici. Punto».
Però in curva c’erano gruppi come gli Hammerskin o gli Irriducibili legati a Lealtà e Azione e membri del direttivo vicini a Casapound.
«Il nuovo direttivo ha deciso di non aver legami con gruppi orientati politicamente».
Come gli Irriducibili?
«La decisione di togliere gli striscioni dei gruppi e di confluire tutti nella “Curva nord Milano 1969” non è stata condivisa dagli Irriducibili. Hanno deciso di non far più parte della Nord. Hanno scelto di andare in un altro settore dello stadio. Partecipano alle trasferte, in autonomia. Non c’è alcun conflitto».
E le vostre svolte social e comunicative?
gli ultras fanno evacuare la curva nord di san siro 3
«Nell’ambiente ultras non è una cosa comune, anche se tutti oggi lo fanno. Le curve hanno pagine social ufficiali, vendono maglie e sciarpe sul web. Oggi è inevitabile. Anche un’intervista, in fondo, è qualcosa di diverso rispetto al passato».
La festa per la seconda stella?
«Per scaramanzia diciamo che non abbiamo ancora preparato nulla».
Il vantaggio è notevole ormai.
«Diciamo che sarà una giornata di grande festa per tutti gli interisti. Coloreremo la città. La festa poi sarà a fine stagione: tre giorni all’Idroscalo. Ci stiamo lavorando...».
Meglio vincere al Derby o il 5 maggio per togliere i pensieri nefasti legati allo scudetto perso a Roma?
«Derby, senza dubbio».
E non ci saranno problemi a festeggiare in casa del Milan?
«Nessuno, vedrete. C’è grande rispetto».
Ma a parti opposte lei andrebbe allo stadio?
«La curva segue la sua squadra. E la curva del Milan ci sarà».
gli ultras fanno evacuare la curva nord di san siro 1
A proposito del Milan, ma è vero che vi frequentate tra capi ultras?
«È inevitabile. C’è un patto di non belligeranza che va avanti da 40 anni. È una garanzia per tutti. Ci si incontra, ci si confronta. Milano sarebbe un campo di battaglia. A volte anche per chiarire piccoli screzi, come il caso Dimarco o magari scritte sui muri, liti di qualche ragazzo in discoteca...».
Ultimi due punti. Se l’anno prossimo si vendesse Lautaro cosa succederebbe?
«Ogni anno da una grandissima perdita sono uscite delle sorprese. Farebbe male. Ma sono certo che lui al 95% resterebbe, è il nostro capitano, è legatissimo alla maglia. Il bello del gruppo di Inzaghi è proprio questo».
Dalla pazza Inter, all’Inter bellissima di oggi.
«È un allenatore che ha avuto sempre la costanza di lavorare anche nei momenti difficili, ha saputo dire sempre le parole giuste. Si è creata una stima e un rispetto per l’uomo, ancora prima che per l’allenatore che non ha ricordi, a mia memoria. Se la squadra gioca si impegna, lavora, esce con la “maglia sudata” il supporto della curva ci sarà sempre. Lo abbiamo dimostrato dopo lo scudetto perso dopo la tragica partita di Bologna».
Nuovo stadio, sì o no?
«Per stare al passo con i tempi direi nuovo stadio. Faccio un discorso aziendalista, non è in dubbio l’amore verso San Siro, ma per il bene dell’Inter».
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