Giuseppe Antonio Perrelli per www.repubblica.it - Estratti
Il canto del gallo in sottofondo si confonde con le parole dell’ex calciatore.
“Abito in campagna, a Passarera, un paesino di 350 persone a cinque chilometri da Crema. Piena pianura padana, ci sono gli animali, a 200 metri da me le mucche. E ora sono in balcone, quando voglio fumare mi cacciano di casa, con la nipotina piccola non si può”.
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L’ex fabbro di Muggia esordì in Serie A nella stessa partita di Ronaldo il fenomeno: Inter-Brescia del 31 agosto 1997.
“Non fu una vigilia tranquilla, dormii poco”.
Troppa emozione?
“Verso le 23.30 ci fu l'incidente di Diana Spencer. Volevo sapere e così sono rimasto sveglio fino alle 4 del mattino davanti alla tv. Poi ho preso sonno e mi sono svegliato alle 8. Entrare a San Siro un’ora e mezza prima della partita è stato veramente bello. Lo stadio pieno, la sensazione di aver coronato un sogno, che poi non era nemmeno un sogno ma qualcosa che andava persino oltre. Ho segnato un gran gol su passaggio di Pirlo, ma a 20 minuti dalla fine è entrato Recoba e mi ha fregato. In dieci anni in Italia ha giocato dieci partite belle e una proprio contro di me: la sua doppietta li ha fatti vincere 2-1”.
La difesa del Brescia era riuscita a limitare Ronaldo.
“L’ho incontrato un altro paio di volte. E non era umano. Ho giocato con e contro grandissimi calciatori, Pirlo appunto, ma anche Baggio, Zidane, Totti, Del Piero: quegli anni erano pieni di campioni. Ma uno come Ronaldo non s’era mai visto. Aveva qualcosa di speciale in velocità, palla al piede, era imprendibile. No, non era umano”.
Ha citato Baggio, il motivo per cui lasciò il Brescia nel 2001.
“Roberto arrivò in squadra l’anno prima: una persona squisita, a modo, ci puoi stare insieme giorni e giorni. Ma tatticamente non andavamo d'accordo. Lui voleva una punta centrale che giocasse di sponda, io amavo andare in profondità. Non è che non ci passassimo il pallone, eh, io segnai 17 gol, lui 10. Ma a fine stagione Mazzone decise di prendere un centravanti che andasse bene a Baggio e scelse Luca Toni al posto mio”.
Nel 2024 troverebbero un modo per far giocare insieme due come Hubner e Baggio.
“Ma anche nel 2001, in realtà. Nella Roma dello scudetto Capello schierava Totti e Batistuta, che avevano caratteristiche simili alle nostre. Non mi sto paragonando a nessuno, sia chiaro, tutti gli attaccanti sono diversi, si fa lo stampo e poi si butta via”.
Prima aveva rifiutato le offerte del calcio inglese.
“Allora non era di moda come adesso, non ci andava quasi nessuno. Mi ha cercato il Nottingham Forest ma ho avuto un po’ paura di trasferirmi con una figlia piccola dove non conoscevo niente e nessuno. A Nottingham ho giocato la coppa Anglo-Italiana: un bel posto, con la foresta di Robin Hood e la fabbrica delle sigarette John Player, lo sponsor in Formula Uno della Lotus del mio grande idolo, Ayrton Senna”.
Dopo il Brescia andò al Piacenza.
“La scelta più azzeccata della mia carriera. A 40 chilometri da casa, facevo comodamente il pendolare. Novellino mi ha voluto, ha costruito la squadra intorno a me e io con 24 gol sono diventato capocannoniere della Serie A con Trezeguet”.
È stato l’allenatore più importante della sua carriera?
“Lo sono stati tutti, bravi e meno bravi. Un giocatore intelligente deve imparare dai loro pregi e dai loro difetti, cosa fare, cosa evitare: il tesoro dell’esperienza”.
I muri dello spogliatoio di Brescia sussurrano che siete venuti alle mani con Silvio Baldini, nella stagione 1998-1999.
“Una bufala. C’è stata qualche baruffa, un rapporto tormentato perché era un allenatore preparatissimo ma non aveva mai giocato a pallone e quindi non capiva i momenti. Quell’anno eravamo in Serie B e appena ci avvicinavamo alla zona promozione perdevamo le partite decisive. Già eravamo fuori di testa perché i tifosi ci contestavano, poi lui veniva al campo e, incazzato com’era per le sconfitte, ci martellava con due ore di sedute tattiche. Io, da giocatore esperto, gli dicevo: ‘Mister, facci sfogare con mezz’ora di partitella, poi facciamo tutta la tattica che vuoi’.
Perché i calciatori sono come bambini, devi farli contenti, anche con poco. Ma Baldini non mollava e quindi ci scontravamo. Però poi, quando ci siamo ritrovati da avversari dopo il suo esonero, mi ha detto ‘Dario, tu mi stavi sui coglioni però eri l’unico che mi diceva le cose in faccia, gli altri mi parlavano alle spalle’. Perché io sono fatto così e so di averne pagato il prezzo”.
Quando?
“Dopo il ritiro. Fossi stato più ruffiano, ora allenerei da qualche parte. Ho seguito tutti i corsi, teoricamente potrei fare il ct della Nazionale ma non ho richieste perché non ho accettato compromessi, neanche nelle squadre giovanili. Non posso scegliere soltanto quattro giocatori e vedermi imporre gli altri perché sono il figlio dello sponsor, il cugino del procuratore e il nipote del presidente. Ma la gente capisce che sono una persona vera. In estate sono stato in vacanza a Gallipoli, in spiaggia mi fermavano i tifosi del Taranto, del Napoli, del Palermo: ‘Non tifavo per te ma eri un idolo’. Bella soddisfazione”.
Non allenare è il suo più grande rimpianto?
“Ma io non ho rimpianti. A volte ci penso e dico: ma che carriera ho fatto? Bellissima, impensabile. Poi magari quando diventi capocannoniere del campionato, non dico un Mondiale o un Europeo ma una maglia azzurra, anche in un’amichevole che non conta nulla, forse te la sei anche meritata. Venti anni fa vedevo in Nazionale giocatori fortissimi, adesso ci vanno anche ragazzi con 40 presenze in A e allora dico porca puttana, ho sbagliato tempo”.
Adesso cosa fa?
“A quasi 57 anni sono un nonno e un pensionato felice. Non dico che mi godo la vita perché non vado ogni due mesi in vacanza. Però mi piace pescare con gli amici sull’Adda, andare a funghi e, con la bella stagione, tirar fuori dal garage la moto e organizzare gite: i passi, lo Stelvio, Livigno, una bella mangiata e poi si torna a casa. C’è chi per divertirsi ha bisogno di andare a Las Vegas e chi si accontenta di molto meno. E poi c’è sempre tanto da fare”.
Per esempio?
“Stamattina a casa ho cambiato le prese della corrente, erano un po’ vecchiotte. Ho comprato i rivestimenti e le placche e mi ci sono messo, mica ho chiamato l’elettricista. Tanto con il salvavita sono capaci tutti”.
Non proprio...
“Effettivamente mio figlio di 24 anni non sa neanche cambiare una lampadina”.