O vinci o sei un fallito. Andrea Vavassori a una certa sbotta: eliminato dal doppio misto olimpico in coppia con Sara Errani, il torinese s’è sfogato senza tenersi dentro più niente. Qualche ora prima Benedetta Pilato, in lacrime, osava definire un quarto posto – il concetto è più articolato di così, lo so – come il meglio che le potesse capitare.
(…)
Mentre Vavassori lacrima, lei l’abbraccia. Andrea racconta di una partita difficile in cui – lui ed Errani – hanno dato tutto. Bravi nel primo set, un po’ di sfortuna nel secondo, poi la ruota del super tie-break che è girata per gli altri. Un dritto facile facile che Andrea ha sbagliato sull’ultimo punto chiude i discorsi.
E che devo fare? Mettermi una corda al collo? Si sbaglia.
Qualcuno lo incalza, facendogli notare la semplicità di quel colpo. Ecco. Vavassori reagisce con un carico di istintività che si porta dietro parecchi ragionamenti precedenti. Si capisce benissimo che è così.
Le parole corrono spedite ma raccontano pensieri che non appartengono solo a quel momento, sono riflessioni già fatte altrove, in altri momenti.
Secondo me non potevamo fare più di così. Non c’è più la cultura della sconfitta: metto quel punto e mi prendo i complimenti, lo sbaglio e mi si dice che era un rigore. Lo sto notando negli ultimi giorni, guardando anche la polemica che ha coinvolto Benedetta Pilato ed Elisa Di Francisca. Si dà addosso all’atleta e si smette di guardare e apprezzare il percorso. O medaglia o sei un fallito. Non si apprezza più la persona, arrivare alle Olimpiadi dovrebbe significare avere dei valori.