Su Repubblica la testimonianza di Francesco Acerbi. Il difensore della Lazio racconta come sta vivendo la quarantena.
Nonostante gli manchino “il profumo dell’erba, il suono del pallone, le urla del mister”, non ritiene si debba avere fretta di tornare in campo. Ha una posizione diversa rispetto a quella del suo presidente Lotito.
“Bisogna rispettare le regole imposte dal governo: meglio stare a casa una settimana in più che sbrigarsi a far ripartire tutto e poi ritrovarci nel tunnel per altri mesi“.
La priorità “è uscire da questo periodo terribile”.
Indica come l’immagine più significativa delle ultime settimane quella del Papa, solo, nella Roma deserta.
“È stato tristissimo vederlo da solo nella Roma vuota, e pregare sotto la pioggia in una Piazza San Pietro deserta. Lì forse ho realizzato ancora meglio il dramma che stiamo vivendo. Tanti morti, troppi. Dobbiamo avere rispetto per loro e per i medici, per gli infermieri, per chi è impegnato in prima linea in questa battaglia”.
E continua:
“La cosa peggiore, per me, è questa situazione ibrida. L’incertezza procura malessere. Non sai quando passerà, quando si tornerà in campo. Come spinta per la gente, come segnale di fiducia, sarebbe importante riprendere il campionato: si può giocare anche ad agosto, a porte chiuse”.
Racconta la sua giornata, gli allenamenti in casa due volte al giorno, la cucina, l’amore per la normalità. E anche che non guarda il calcio.
Il virus cambierà qualcosa? Non nella vita di Acerbi.
“Personalmente non credo che da questa situazione uscirò diverso. Perché ne ho passate di cose gravi, a partire dal tumore, e anche prima avevo toccato il fondo nella mia vita almeno un paio di volte. So che cosa significa risalire. Quindi sarò incosciente, ma il virus non mi fa paura. In generale invece penso che, dopo, nei contatti con le persone si farà molta più attenzione. All’inizio ci saranno timori, poi però pian piano torneremo a comportarci come prima. E sarà un sollievo indescrivibile”.