Giulia Zonca per "la Stampa" - Estratti
C'è una frase di Mbappé che si è ficcata in mezzo alle conversazioni dei francesi: «Speriamo che dopo il 7 luglio saremo ancora fieri di portare questa maglia».
Più dell'invito al voto per le imminenti legislative, più della censura all'estremismo, che aveva indirizzi specifici, ma ognuno ha letto a piacere, resta quel riferimento impossibile da smontare che diventa politica. Rotola su un campo di calcio nel bel mezzo di un Europeo giocato in Germania, nel cuore dell'Europa destabilizzata proprio dalle elezioni che hanno portato Macron a sciogliere l'assemblea.
Lo sport non è mai stato neutrale, solo che ora c'è una generazione pronta a spiegare le proprie posizioni, a sentirsi parte delle questioni che attraversano un Paese o il mondo. E ogni opinione diventa polemica.
I partiti in Francia reagiscono, spaccati, come previsto, tra governo e opposizione anche se gli schieramenti sono in divenire. Il rassemblement national tenta di non essere il motivo per cui Mbappé potrebbe trovare inopportuna la sua stessa maglia. Per gli uomini e le donne del gruppo di destra, la definizione «estremisti» non li riguarda.
MBAPPE SI ROMPE IL NASO NELLA PARTITA CONTRO L'AUSTRIA
Mbappé invita i cittadini a fermare «gli estremisti alle porte del potere» e nessuno si sente responsabile anche se c'è chi lo invita a farsi gli affari propri, chi lo ritiene lontano dalla realtà, troppo ricco per comprendere le necessità della gente, arrogante, saccente, infantile. La lista di accuse è densa, molte si concentrano sullo stipendio di Mbappé.
Dall'altro lato arriva il sostegno che tenta l'appropriazione. Il premier, le ministre di sport e cultura ritengono il fuoriclasse «particolarmente adatto a parlare ai giovani».
Circoscrivono la portata. Come minimo, il sistema non ha digerito l'evoluzione del calciatore. Qualcuno è convinto che Mbappé sia una pedina del presidente Macron altri lo ritengono persino manovrato dalla lobby dei potenti.
Mbappé ormai è potente di suo, la sua voce è di sicuro amplificata dai risultati e dalle vittorie, ma non c'è legame tra la professione e l'insofferenza verso chi divide per ottenere consenso. Mbappé è cresciuto dentro quella tenaglia, nella periferia francese, non una delle più agitate. Ha annusato e disprezzato i discorsi fatti per approfittarsi del malessere, però oggi gli basta entrare in campo per la ricognizione pre partita con il padre per essere coperto di insulti social.
«Cocco», «privilegiato», «ti accompagna ancora papà e poi fai i proclami». Già sentito, se non le stesse becere rimostranze, l'identico tono insulso.
kylian mbappe in visita all'eliseo 2
Siamo nel 2022, in Qatar, la Germania esordisce con una foto a sostegno dei diritti: mano sulla bocca per protestare contro il divieto di indossare la fascia arcobaleno. La Mannschaft perde contro il Giappone e il commento diventa giudizio: «Si concentrassero invece di fare i fenomeni».
Come se tentare un civilissimo dissenso fosse sintomo di presunzione, come se dedicarsi a una causa rubasse energie. Manca l'abitudine e persiste la stizza da sempre dedicata a chi ha fatto fortuna con lo sport. Con chi ha vinto o guadagnato, peggio se i due aspetti si combinano. Il successo diventa bersaglio
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