Gabriele Gambini per "la Verità"
URBANO CAIRO CON LA MASCHERINA
La Superlega somiglia a Umberto II di Savoia, il «re di maggio», ma il suo ruolo di regina del pallone è durato solo 48 ore. Prima si sono defilate le squadre inglesi, poi qualche spagnola, poi Milan e Inter, lasciando col cerino in mano la Juventus e il Real Madrid, cerimoniere dell' idea. L' effetto domino è preludio a una resa dei conti tutta italiana.
I blasoni piccoli fanno la voce grossa. In casa bianconera le impellenze sono legate al crollo del titolo in Borsa (-13%) e al confronto tra Andrea Agnelli, John Elkann e Alessandro Nasi. L' Inter ha giocato d' astuzia, ora dovrà riposizionarsi.
Con un comunicato di rito la famiglia Zhang ha annunciato la sua uscita di scena dal progetto da cui era stata allettata per godere di entrate abbondanti che ne ripianassero le finanze dissestate. Dopodiché, tornando all' ovile, ha lasciato intendere di aspettarsi dall' Uefa una diversa ridistribuzione degli utili in gioco. Se l' ex patron Massimo Moratti commenta la vicenda con un «Tentativo malfatto, non c' erano le basi», il nodo da sciogliere riguarda l' ad Beppe Marotta e i suoi rapporti con gli omologhi di campionato.
Marotta in Figc è consigliere da febbraio e settimana scorsa era stato tra i firmatari della mozione di sfiducia verso Paolo Dal Pino, presidente di Lega Serie A. Dal Pino era stato accusato di aver tentato di favorire l' ingresso di fondi privati esteri al 10% nella costituzione di MediaCo, media company per la Serie A. La condizione affinché ciò si realizzasse era quella di legare al campionato nazionale per almeno dieci anni le tre grandi, Milan, Inter e Juve, vanificando sul nascere il golpe Superlega. Nel frattempo, il Milan giocava su due tavoli separati, aspettando di assaggiare la minestra prima di lanciarsi dalla finestra.
Nell' assemblea di Lega, il presidente Paolo Scaroni aveva confermato la sua fiducia a Dal Pino: «Ho votato per lui e non cambio idea», mentre l' ad Ivan Gazidis iscriveva i rossoneri al maxi torneo continentale per ricchi. Pure il Diavolo è tornato nei ranghi canonici, e c' è chi mormora che ora Gazidis sia pronto a dimettersi. Ma c' è chi chiede la testa di Scaroni, oltre che di Agnelli e Marotta.
È Urbano Cairo, che capeggia la fazione dei «lealisti» contro i club scissonisti: «Agnelli faceva parte del comitato di Lega delegato a trattare con i fondi, la sua è concorrenza sleale. Stimo Scaroni, ma anche lui deve fare un passo indietro. Marotta è un consigliere federale con delega della Serie A. Se Agnelli ha lasciato l' Eca, mi aspetto da Marotta un atto analogo per la Figc», tuona il patron del Torino al Corriere.
Cairo guida la riscossa degli esclusi, tra i quali si registra il silenzio sornione di Aurelio De Laurentiis. «Superlega? Dormivo...», avrebbe ironizzato il presidente del Napoli. La sua posizione in realtà è nota: avrebbe avallato la nascita di un nuovo torneo continentale per grandi società solo sotto l' egida Uefa.
Ora, assieme a Claudio Lotito della Lazio (fino a oggi rimasto in silenzio strategico, ma nel 2019 aveva detto: «Non esiste che un club ricco conti più di un altro», suggerendo una cabina di regia per il dialogo tra leghe nazionali, federazioni e Uefa) passerà all' incasso, rafforzando il suo peso politico nelle assemblee. Quel potere di influenza che fa ruggire Luca Percassi, ceo della virtuosa Atalanta: «La Superlega era sbagliata, lo sport è meritocratico, ma ben venga uno scossone che ci consenta di raccogliere opportunità. Eravamo contro l' operazione dei fondi perché illogica, ora dobbiamo tornare a parlare davvero di calcio».
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