MASSIMO COSTA per Libero Quotidiano
Il primo dicembre, dopo il 2-1 con la Spal, l'Inter aveva sorpassato la Juve in vetta alla classifica. Quindici giornate più tardi - nel pieno del minitorneo causato dalla pausa Covid - i nerazzurri sono terzi a 11 punti dai «gobbi» e rischiano addirittura di essere sverniciati dall'Atalanta.
Antonio Conte - uomo dal dna juventino che parte della tifoseria non gli ha mai perdonato - si era presentato con il seguente slogan: «Basta pazza Inter». Invece anche lui si sta facendo travolgere, come molti suoi predecessori, da quella che Giovanni Trapattoni chiamava la «centrifuga» di Appiano. Le sue colpe, finora, sono cinque.
1) Difesa colabrodo. L'Inter prende gol da tutti, in modo democratico. Tre gol dal Borussia Dortmund e tre dal Sassuolo; due gol dal Barcellona e due dal Bologna con tanto di marcatura di Juwara, 19enne arrivato in Italia su un barcone 4 anni fa. La difesa a 3, soprattutto contro le squadre che giocano con una punta centrale e due esterni, fa acqua da tutte le parti. 2) Insistenza su un solo modulo. E qui veniamo al totem del 3-5-
2. Con questo schieramento la differenza la devono fare gli esterni, che però nell'Inter sono giocatori non decisivi (Candreva, Young, Biraghi, Asamoah e compagnia cantante). Bloccato Brozovic, il gioco scorre lento e prevedibile. L'acquisto di Eriksen, se non altro, ha portato alla variante del trequartista. Le grandi squadre, però, dovrebbero essere capaci di cambiare modulo e atteggiamento.
3) Non ha migliorato il rendimento della rosa. Conte, ovunque è stato, ha fatto rendere i propri giocatori al 150%. Non avendo una rosa del livello della Juve, è stato preso per alzare il livello di chi c'è. Invece al momento i risultati sono deludenti, soprattutto nelle coppe. Conte si lamenta del «pacchetto preconfezionato di acquisti», però la rosa è evidentemente migliorata rispetto all'anno scorso. Certo, sarebbe meglio avere uno Snejder e un Eto' o, ma forse per battere Lecce e Sassuolo bastano quelli che ci sono. Contro il Bologna, oltretutto, si è visto il primo cambio al 75' (e non è la prima volta che le sostituzioni tardano).
4) Non ha portato mentalità vincente. L'Inter ha perso 18 punti da situazioni di vantaggio. Quando il gioco si fa duro, la squadra si squaglia esattamente come le Inter degli ultimi anni. Sicuramente ci sono limiti caratteriali dei giocatori, sicuramente non si può giocare a mille all'ora per 90 minuti. Eppure la squadra fa troppa fatica ad amministrare il gol di vantaggio. E con le grandi è un disastro: sconfitta con Juve, Lazio, Barcellona, Borussia e Napoli. L'Inter ha vinto i due derby, ma non è una novità in questi anni...
5) La squadra non lo segue ciecamente. Se il mister dice che il rigorista è Lukaku, il rigore non può tirarlo Lautaro. L'autogestione, quando poi il penalty viene sbagliato, scava un solco tra squadra e allenatore.
Anche la foga che ci mette Conte in panchina raramente si è vista in campo tra i giocatori, i quali spesso tengono ritmi compassati. Il club quest' anno ha scelto come slogan "Inter is not for everyone", ovvero l'Inter non è per tutti. D'altronde già altri illustri superallenatori hanno fallito ad Appiano. Per fortuna c'è ancora l'Europa League: 4 partite secche e ad agosto si può alzare un trofeo. L'Inter, che è ancora pazza, è capace di tutto.
IL MURO DEL PIANTO DI ANTONIO CONTE
CONTE, DOPO GLI STRILLI RIVOLUZIONE INTER
GUIDO DE CAROLIS per il Corriere della Sera
Conte è arrabbiato, Marotta deluso. Il giorno dopo dell'Inter è come tanti altri vissuti negli ultimi dieci anni, pieno di rancori, dubbi, domande. La sconfitta con il Bologna è una svolta pericolosa, per allenatore e società. Marotta per indole è un pompiere, un riflessivo, ma le urla del tecnico ai giocatori nel dopo gara con i rossoblù e le dichiarazioni rilasciate («Con l'Inter ho preso un pacchetto preconfezionato», «I giocatori provino l'1% della delusione che provo io») hanno creato inevitabilmente qualche frizione interna. «Conte è molto arrabbiato e lo deve essere - ha spiegato Marotta -.
Le sue critiche servono a far comprendere il personaggio, quello che pretende da sé e dai giocatori». Conte in fondo è stato scelto perché serviva un tecnico che entrasse con il lanciafiamme in uno spogliatoio ai limiti dell'apatico. L'Inter ha deciso di non investire su un fuoriclasse, ha eletto Conte a suo top player.
L'allenatore non può sottrarsi al ruolo di parafulmine. Il «siamo tutti in discussione», pronunciato dopo il Bologna, tocca anche lui. Conte alla squadra ieri ad Appiano non ha detto nulla. Aveva strillato a sufficienza dopo la partita persa e, forse per pungere i calciatori nell'orgoglio, li ha allenati e di fatto ignorati. Si è confrontato con i dirigenti.
«Ci siamo incontrati per esprimere sconforto e disappunto per una vittoria dilapidata, buttata via, dobbiamo dimostrare di aver capito la lezione», sottolinea Marotta. Deve dimostrarlo anche Conte, apparso infastidito dall'Inter nell'ultimo periodo. La società gli chiedeva di vincere un trofeo, lui rimprovera alla società di non avergli dato i mezzi per farlo.
All'Inter è riaffiorato un vecchio vizio, dopo un'andata strepitosa è crollata nella seconda parte. Era accaduto con Mancini e Spalletti, ora anche Conte ci è cascato: un tecnico del suo livello non può accettarlo. Il suo arrivo doveva cambiare la storia del decennio post Triplete: nelle ultime otto stagioni il miglior piazzamento è stato il 4° posto, il rischio è chiudere come l'anno passato: sarebbe un grosso danno d'immagine prima di tutto per lui. Il progetto di crescita si è inceppato a metà febbraio.
L'Inter ha 8 punti in più rispetto a un anno fa e, fa notare Marotta, «abbiamo subito solo quattro sconfitte: tante per quello che l'Inter rappresenta, poche se paragonate al nostro progetto di crescita».
Un progetto in una difficilissima salita e che vedrà una profonda ristrutturazione, soprattutto a centrocampo, reparto non all'altezza. Cade oggi il primo anniversario interista di Conte. Era il 7 luglio 2019 quando la squadra si ritrovava ad Appiano agli ordini del nuovo allenatore.
Dodici mesi dopo, molto è da rifare, ma poco è cambiato nella mentalità interista. Emblematico il rigore ceduto da Lukaku a Lautaro e sbagliato dall'argentino. Una bambinata che ha mandato in bestia Conte e pure Marotta.
«Lautaro può essere in una fase involutiva della carriera, le voci lo condizionano. Gli serve serenità», evidenzia Marotta. L'altro punto dolente è Eriksen, spento dopo qualche sussulto. «Si è inserito in un reparto in difficoltà anche per i tanti infortuni, può dare molto di più, lo aspettiamo».
L'ultimo forfait è quello di Barella, fuori per le prossime tre-quattro partite. Resta l'Europa League per salvare la stagione. Comunque vada sarà rivoluzione, ma non sarà un mercato semplice. L'Inter rischia di dover rimpiazzare, per vari motivi, dieci giocatori: Berni, Godin, Biraghi, Moses, Vecino, Gagliardini, Borja Valero, Esposito, Sanchez e Lautaro.
Se non parte Lautaro le risorse per costruire un centrocampo e un attacco di livello rischiano di non esserci. Non può essere il 20enne Tonali l'uomo della svolta. Conte non ha preclusioni sul ritorno di Nainggolan, ma dopo Hakimi occorre un esterno sinistro (Emerson Palmieri) e un altro in mezzo: Vidal o qualcuno simile. Davanti poi non servono scommesse, ma certezze come Dzeko o Cavani, anche se avanti negli anni. Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato di Pirelli, continua a caldeggiare l'acquisto di Leo Messi.
Un sogno forse impossibile, ma l'idea è giusta. Per vincere grandi competizioni servono grandi giocatori. L'Inter non può più perdere tempo. Il progetto deve giungere a un obiettivo, altrimenti è sbagliato. Conte ha ragione, sono tutti in discussione: anche lui se non vince.
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