Estratti da repubblica.it
La storia lo ricorderà per il talento del figlio. Ma in Italia è stato anche molto altro. A 69 anni, Joe Bryant se ne è andato, ucciso dalle complicazione di un infarto avuto nei giorni scorsi. Quattro anni e mezzo dopo aver pianto la scomparsa del grande Kobe, il figlio che ha cambiato la storia del basket americano, uno dei totem immortali della pallacanestro americana insieme a Jordan e a James.
A casa sua, negli States, Joe Bryant era per tutti “Jellybean”, un nomignolo che gli era rimasto appiccicato addosso per la sua passione per le caramelle gommose, le jelly appunto. In Italia Bryant senior era arrivato nel 1984: lo aveva ingaggiato, dopo gli anni Nba con 76ers, Clippers e Rockets, la Sebastiani Rieti, in A2.
Rimase in Italia a lungo, fino al 1991, passando poi per Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. E qui, al seguito del papà, aveva iniziato a giocare anche Kobe, che nel nostro Paese ha vissuto dai 6 ai 13 anni, diventando anche un grande tifoso di calcio, in particolare del Milan, anche per la concomitanza col boom della squadra di Berlusconi.
Tra padre e figlio però, nonostante alcune foto insieme, le acque erano spesso state agitate. In particolare perché i genitori di Kobe avevano manifestato la loro aperta contrarietà al matrimonio del figlio con la moglie Vanessa: 22anni lui, 18 lei
(...) Il problema è che le tensioni non si sopirono, anzi: al matrimonio, Joe e la moglie Pamela non andarono, come segno del loro dissenso. Non sarà l’ultima loro assenza. Sì, perché Joe e Pam mancheranno anche la cerimonia di addio al basket del figlio, nel 2016.
E persino il ritiro delle sua canotte dei Lakers: colpa di un procedimento giudiziario, diventato una causa legale, legato al tentativo dei genitori di vendere dei cimeli appartenuti al figlio ai tempi della high school. Il riassunto miglior della situazione fu quello di Kobe: “Il nostro rapporto? Una m...”. Il chiarimento, prima della tragica scomparsa di Kobe, ha evitato a Joe di vivere il rimpianto di non aver saputo chiedere scusa.