Ilaria Sacchettoni per “Il Corriere della Sera”
Chiunque poteva entrare e aggredire il campione salendo una semplice rampa di scale. Il poco blindato residence «Le Rose» era un fortino di sabbia nei pressi di largo Fellini e via Vitelloni. Da qui parte la denuncia presentata da Tonina Pantani, assistita da Antonio De Rensis, per poi ribaltare il cuore dell’inchiesta sulla morte di Marco Pantani.
È stato un suicidio da overdose avevano detto le indagini del 2004. Con il concorso morale di un amico del pusher Ciro Veneruso, Fabio Carlini il «corriere» dell’ultima dose poi assolto in Cassazione. Fu omicidio dicono i Pantani. «Abbiamo fatto un lavoro enorme e approfondito, è stata la prima inchiesta in cui si sono utilizzate le celle telefoniche per ricostruire i singoli spostamenti di ognuno» dice l’ex capo della mobile di Rimini, Sabato Riccio, che indagò su quella morte.
MARCO PANTANI AL TOUR DE FRANCE
Eppure la denuncia che ha fatto riaprire l’inchiesta - tecnicamente partirà a settembre, al rientro del pm Elisa Milocco- parla di vuoti nella registrazione delle telecamere, dosi letali di coca utilizzate alla maniera di un’arma, giubbotti che farebbero a pugni con la sporta leggera che il campione aveva con se quando lasciò la casa dei genitori. Tracce compatibili con l’azione violenta di un killer.
All’epoca, l’avvocato Luca Greco che difendeva Carlino, chiese una nuova perizia che tuttavia fu rifiutata dal gip. Una sera, poco prima di San Valentino, Pantani, senza essere visto, incontrò Veneruso nel parcheggio del residence. Tranquillamente. Poteva funzionare anche al contrario: chiunque poteva salire.
MARCO PANTANI A MADONNA DI CAMPIGLIO CON I CARABINIERI DOPO LA SQUALIFICA AL GIRO DEL
Come andarono le cose? «Si poteva salire dal garage, è vero - dice, nell’anonimato, uno degli investigatori dell’epoca - Ma quel famoso giorno Pantani era barricato fin dal mattino. E’ a verbale. Un’ospite del residence, sentendo rumori strani, avvisò l’impiegata alla reception che, a sua volta, salì di persona e cercò di aprire usando il passepartout. La soglia si scostò di pochi millimetri, dietro c’era un mobile. Erano le 10. Il ciclista chiamò poi la reception dicendo “mi danno fastidio” ma poi aggiunse: “lasciate perdere”».
«Gli elementi vanno inseriti nel contesto. Non si fanno le indagini dal salotto di casa. Un esempio? Oggi il ristoratore che salì a consegnare la cena a Pantani ci dice che non aveva l’aria di chi pensa al suicidio. Dieci anni fa, a verbale, lo descrisse spiritato, vaneggiante, emanante cattivo odore come se avesse trascurato l’igiene personale. Mi chiedo: mentiva allora o oggi?»
Si ipotizza che la coca sia stata sciolta nell’acqua e somministrata a forza: «La notte del 14 febbraio fu una fotocopia di quanto era avvenuto poche settimane prima, il 27 dicembre 2003, al Touring di Milano. Nei verbali c’è tutto, anche quello che oggi si finge di non sapere». In un caso il Pirata sarebbe arrivato a prelevare 12 mila euro per pagare il suo pusher: «Le indagini accertarono che era per pagare la merce consumata in meno di un mese» dice il vecchio investigatore.
Il Pirata era in lotta con Marco Pantani. Dire o no ai milioni di fan che il campione era arrivato a consumare 100 grammi di coca a settimana? Non era più conveniente tacere e rincuorare lo sponsor? Se ne discuteva anche in famiglia e non c’era una decisione unanime.