Andrea Schianchi per www.gazzetta.it
Trent’anni fa, estate del 1992, sbarcò in Italia un ragazzo dallo sguardo furbo e dal sorriso beffardo: Faustino Asprilla. Aveva 22 anni, il Parma lo acquistò dal Nacional Medellin dopo che il capo dei narcos colombiani Pablo Escobar, patron occulto del club, diede il benestare. Velocissimo, estroso, abile nel dribbling, Asprilla conquistò la gente anche per il modo di festeggiare i gol: faceva la capriola.
E ne fece parecchie: una a San Siro quando, con una punizione deliziosa, nel marzo del 1993, segnò l’1-0 e così interruppe il record di imbattibilità del Milan di Capello (58 gare senza k.o.). Oggi vive in Colombia, a Tulua Valle. Tifa per il Parma, "e per il mio amico Buffon: un fenomeno".
Come se la passa, Tino?
"Alla grande. Ho un’azienda agricola, vendo canna da zucchero al governo colombiano. E attraverso una campagna pubblicitaria commercializzo preservativi. Sapete, il sesso per me è sempre stato importante...".
Già, e che cosa ricorda del suo arrivo in Italia?
"La bella vita, le belle donne e... i rubinetti".
I rubinetti? Ci spieghi.
"Volevo spedire ai miei familiari in Colombia qualcosa che potesse sembrare molto costoso: vidi dei rubinetti dorati in un grande magazzino, ne acquistai dieci scatole, le mandai in Sudamerica e io, per quelli di Tulua, diventai il riccone che aveva sfondato nel calcio italiano. Credevano fossero d’oro, mica di metallo. Dalle mie parti l’apparenza conta spesso più della sostanza".
E l’impatto con il calcio italiano come fu?
"Fantastico. Al Parma mi trovai subito benissimo. Avevano appena vinto la Coppa Italia e poi assieme vincemmo la Coppa delle Coppe a Wembley e la Supercoppa Europea contro il Milan. Compagni meravigliosi: Apolloni, Osio, Melli...".
Con l’allenatore Scala, però, ci furono polemiche.
"Io non stavo alle regole. Un giorno mi voleva far correre attorno ai bastioni della Cittadella e gli dissi che non ero mica Forrest Gump. Il calcio, per me, è sempre stato divertimento. Niente regole, niente schemi".
Il calcio di oggi le piace?
"Lo guardo, ma sembrano tutti soldatini agli ordini dell’allenatore. Se sgarrano, fuori. Ditemi uno che dribbla al giorno d’oggi... Mi piace Vinicius del Real Madrid.
Com’è la sua giornata-tipo?
"Sveglia a mezzogiorno. Colazione abbondante a base di frutta. Riposino pomeridiano. Doccia, cena e feste fino all’alba".
E lavorare?
"Ho tanti dipendenti, ci pensano loro. Io dirigo. E a volte gioco ancora a pallone: ho una squadretta, qui a Tulua".
Con il calcio si è arricchito?
"Mi ha permesso di vivere come faccio ora. Un bel privilegio".
Le sue bravate hanno fatto storia: ricorda quella del gennaio 1995?
"Festeggiai il Capodanno sparando in aria quattro o cinque colpi di rivoltella, che cosa volete che sia dalle nostre parti? Solo che io ero un personaggio famoso, i poliziotti mi portarono in caserma, chiamarono i dirigenti del Parma che dovettero pagare la cauzione. E la domenica dovevo essere in campo perché c’era Parma-Juventus. Diciamo che non mi preparai al meglio".
E quella volta che finì sulle prime pagine dei quotidiani per la relazione con una soubrette?
"Non era vero nulla, mai stato con quella ragazza. Mi misero in mezzo. Però le donne mi sono sempre piaciute, e parecchio. Una volta ho anche posato nudo per un giornale italiano, e il cavalier Tanzi, che mi voleva bene ma andava a messa tutte le domeniche, si arrabbiò moltissimo. Il fatto è che di fronte a una bella donna non so resistere: devo corteggiarla. Infatti, dopo il divorzio da Catalina, non mi sono mai più sposato. Tante relazioni, ma nessuna fissa. Sa che cosa facevo con i miei compagni al Parma?".
Ci racconti.
"Ci allenavamo in Cittadella, a trecento metri dallo stadio Tardini. Per raggiungere il campo usavamo un pullmino. Alla fine dell’allenamento io mi mettevo alla guida e, anziché rientrare al Tardini per fare la doccia, con altri sei o sette andavamo in giro per Parma a salutare le belle ragazze e le commesse dei negozi. Questo era il mio mondo: libero, puro".
E quando pensò di aver ucciso il presidente Pedraneschi?
"Mamma mia che paura! Per scommessa, da centrocampo calciai forte con l’intenzione di colpirlo proprio in testa, e ci riuscii. Lui cadde, sembrava morto. Non mi diedi pace finché non lo rimisero in piedi".
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