Marco Imarisio per corriere.it - Estratti
(...) il mondo del tennis sta capendo che la qualità maggiore di Sinner è la solidità. Mentale e tecnica, i due aspetti vanno di pari passo. Oggi, non esiste nel circuito nessun giocatore capace di colpire la pallina in modo così violento e costante. Può picchiare da fondo campo per quattro ore consecutive sempre allo stesso modo, ha detto ammirata l’ex campionessa Justine Henin, ancora oggi oggetto di culto per via del suo tennis così diverso da quello di Jannik.
Pochi giorni fa, il Washington Post ha dedicato al numero uno del mondo un ritratto in prima pagina che può apparire ambiguo. «Un tipo assonnato che culla i suoi avversari e il pubblico addormentandoli con un ritmo soffocante» scrive Sally Jenkins. «Il ritmo e il suono dei suoi colpi sono così regolari da indurre al sonno… e dopo un po’ il match non finisce, si addormenta. La cosa più espressiva che fa è asciugarsi. Niente urli, niente lamentele, niente racchette spaccate».
A molti sostenitori italiani, l’articolo non è piaciuto, perché in controluce sembra contenere l’accusa di essere un giocatore noioso. Non è così. Piuttosto, si tratta di un elogio della sua maggiore virtù. L’eccellente rendimento di questi mesi passati sotto la spada del giudizio incombente per il caso doping che lo ha coinvolto è la prova ulteriore di uno stato mentale ormai acquisito. Il quarto di finale contro Daniil Medvedev, la partita chiave di questo Us Open, è finito quando il russo ha sbagliato una volée a campo aperto sulla palla-break che si era faticosamente costruito a metà del quarto set. Chiunque stesse guardando la partita, ne ha avuto chiara la percezione.
Con Sinner, il treno passa una sola volta. Spesso, neppure quella. In una finale senza storia, il povero Taylor Fritz ha espresso la miglior qualità di cui è capace durante il secondo set, che l’italiano si è aggiudicato commettendo un solo errore gratuito. Questa è la definizione tecnica di solidità, che si unisce a una pressione da fondo campo senza pari. Il campione italiano chiude lo Us Open con una statistica da fantascienza: ha vinto il settanta per cento degli scambi sotto i sei colpi. Sono i punti che non finiscono negli highlights dei match. Ma ne determinano sempre l’esito.
Gli avversari che reggono questa forza d’urto si contano sulle dita di una mano, forse meno. Quelli capaci di farlo, spesso non arrivano ad incontrarlo. Carlos Alcaraz viene considerato all’unanimità più bello da vedere di Jannik, se non più completo in assoluto, ma dimostra di non avere ancora la sua tenuta, in termini di testa e anche per continuità di risultati lungo un intero anno agonistico. A questo ci ha portato la solida normalità di Sinner. A prendere un altro Slam vinto come un fatto scontato. A essere delusi le rare volte in cui non finisce il lavoro. Nel 2024, solo cinque sconfitte finora. E due Slam. Stiamo parlando di una stagione da leggenda.
Solidità e normalità non sono moneta facile da vendere al mercato dei sogni sportivi. Jannik non è il giocatore perfetto nell’immaginario tennistico. Ci sarà sempre una ricerca verso qualcuno di più bello da vedere, di più estetico. È l’eterno equivoco in base al quale si confonde il talento, che risiede anche nella capacità di colpire un rovescio bimane per mille volte senza mai sbagliare, con un certo stile di gioco.
Chiamiamolo pure il complesso di Federer, oppure di Stefan Edberg, o ancora più in là di John McEnroe. Ma si tratta di distinzioni da appassionati storici. Questo è stato il primo anno dal 2002 in cui nessuno dei cosiddetti Big Three ha vinto uno Slam. I tempi sono cambiati. Il futuro che ci attende è fatto di martellatori da fondo campo. E il più forte di tutti ce lo abbiamo noi.
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