Dalla rubrica delle lettere del “Corriere della Sera”
Caro Aldo, non vorrei offendere nessuno, ma mentre sto guardando Italia – Svizzera penso che i nostri sembrano 10 presi a caso in strada, vestiti con i colori della nazionale e messi in campo. Donnarumma è l’unico che non ci fa vergognare. Commento a caldo sperando in una sua risposta.
Barbara Canepa
Risposta di Aldo Cazzullo
Cara Barbara, Lo sport italiano non è in crisi. L’atletica azzurra ha dominato gli Europei di Roma e può fare molto bene ai Giochi di Parigi, così come il nuoto. Pallavolo e pallanuoto sono da medaglia olimpica. Abbiamo ottime sciatrici, ottime fiorettiste, ottimi tennisti. Molti sport attirano giovani disposti a sacrificarsi, a faticare, a competere, a fare squadra. Perché allora non il calcio, il nostro sport nazionale? I ragazzi non giocano più a pallone per strada, è vero. Ma non è tutto lì.
È abbastanza incredibile, ad esempio, che nel calcio non sia ancora emerso un fuoriclasse tra i milioni di nuovi italiani che innervano altri sport, si pensi al campione olimpico Marcell Jacobs e al fenomeno che avrà la sua consacrazione a Parigi, Yeman Crippa. Ma la cosa più grave è che le poche squadre italiane che hanno fatto bene nelle coppe europee in questi anni, da ultima l’Atalanta, sono composte quasi esclusivamente da stranieri.
A mia memoria, non ricordo la Nazionale giocare male come ieri. Non è certo la prima spedizione fallimentare del calcio azzurro. Da cronista, oltre alla splendida vittoria del 2006 (nello stesso stadio di ieri), mi è capitato di raccontarne tre: Corea 2002, Sud Africa 2010, Brasile 2014.
Ma erano comunque squadre interessanti: in Corea eravamo fortissimi, c’erano Maldini, Nesta, Vieri, Totti, Del Piero; e anche le altre volte c’erano comunque personaggi di spessore da raccontare. In questa squadra chi c’è? Non è solo un fatto tecnico (l’unico giocatore di sicura classe internazionale è il portiere).
C’è anche il fattore umano. Nello sport moderno, o sei baciato dagli dei come Messi, oppure per diventare non dico un campione ma un atleta di valore devi costruirti anche come uomo: carattere, coraggio, forza morale; vivere con gli occhi aperti e le orecchie dritte, imparare le lingue straniere, aggiornarti sul tuo sport, forse addirittura leggere un libro. Non bastano tatuaggi, milioni, procuratori, veline, auto sportive e scommesse on line (se Fagioli fosse arrivato pronto, se in mezzo ci fosse stato Tonali…).
Nella sua bella autobiografia, «Più dritti che rovesci», Adriano Panatta racconta i suoi incontri con Mina, con Paolo Villaggio, con Ugo Tognazzi, gli articoli che leggeva, i film che guardava, e aggiunge che tutto questo arricchiva il suo tennis, il suo modo di stare in campo, la sua maniera di affrontare gli avversari.
Ragazzi, un consiglio: almeno il libro di Panatta, leggetevelo. (E in ogni caso, correte di più. Scriveva Gianni Brera — lo so che non sapete chi è —: «Puoi essere anche il Gesù Cristo del calcio sulla terra, ma se trovi un brocco disposto a correre più di te, non puoi giocare»).